mercoledì 30 gennaio 2008

Operazione Colomba visita la CdP di San Josè de Apartadò


Operazione Colomba in Colombia: visita alla comunità di pace

venerdì 25 gennaio 2008

1) Non partecipare alla guerra in modo diretto o indiretto;
2) Non detenere armi di nesssun tipo;
3) Astenersi dal dare appoggio alle parti in conflitto;
4) Non chiedere aiuto a persone armate per risolvere problemi personali o familiari;
5) Non manipolare ne dare informazioni a nessuna delle parti in lotta;
6) Impegnarsi a partecipare ai lavori comunitari ed a non accettare ingiustizia e impunità rispetto a quello che succede

Sono questi gli impegni che si trovano scritti su un cartello all'ingresso della “comunità di pace” di San Josesito de la Dignidad. Quando li leggiamo abbiamo subito l'impressione di trovarci di fronte ad una esperienza particolare.
Ci troviamo nella zona nord ovest della Colombia, nel dipartimento di Antioquia, regione di Urabà, municipio di Apartadò.

Siamo arrivati fin qui come Operazione Colomba perchè ci è stato detto che l'esperienza di questa comunità è veramente interessante e da sostenere fortemente.
Ci troviamo nel cuore della foresta, vicino all'Amazzonia, un clima tropicale caldo e umido. Il paesaggio è completamente diverso da quello occidentale, molto verde, ricco di frutta ed animali. In quest'area, contesa dalle FARC, dall'esercito governativo e dai paramilitari, sorgono i villaggi in cui è nata, e si sta sviluppando, l'esperienza delle comunità di pace: San Josesito, la Union e Arenas Altas. Circa 1300 campesinos (contadini) con le loro famiglie vivono rifiutando le armi e la violenza.
Dopo che, fra la fine del 1996 e l'inizio del '97, i gruppi paramilitari commisero due massacri nel territorio di San Josè de Apartadò, è aumentato lo sfollamento forzato delle famiglie verso altri luoghi. Di fronte a questa situazione e conoscendo la gravità del problema dello sfollamento forzato a livello nazionale, (la Colombia è il terzo paese al mondo per numero di sfollati, dopo il Congo ed il Sudan) il Vescovo della Diocesi di Apartadò, Monsignor Isaías Duarte Cansino (assassinato successivamente nella città di Cali), propose la costituzione di spazi neutrali dove fosse garantito il rispetto alla vita e all'integrità della popolazione civile.
Fu avviato così un percorso di riflessione che portò alla creazione della comunità di pace.

In uno spazio piano, a ridosso della montagna, c'è situato San Josesito. Il villaggio è fatto di baracche in legno; ci vivono 70 famiglie e molti bambini. Fino a tre anni fa qui non c'era niente. Dopo il massacro del 2005, dove sono morte 8 persone ad opera dei militari regolari, lo Stato, con la scusa della sicurezza, ha imposto un presidio permanente di polizia a San Josè. Da sempre la gente abitava in questo villaggio con case in muratura e alcuni servizi. Non potendo accettare però un presidio di polizia imposto arbitrariamente dal governo di Bogotà, perchè contrario allo statuto della comunità, la gente si è spostata di 300 metri e velocemente in tre anni ha ricostruito dal nulla un nuovo villaggio dove attualmente la vive, San Josesito appunto.
Entrando c'è l'incontro con una realtà molto semplice, dai colori e dai sapori completamente diversi da quelli occidentali a cui siamo abituati. Ci sono donne, uomini, bambini, cavalli, cani, maialini, galline e anatre. Non ci sono macchine, o altri mezzi di trasporto a motore, neanche biciclette, solo cavalli, muli, asini per gli spostamenti (alcuni villaggi sono anche a 5 – 6 ore di cammino, all'interno della foresta).
L'unico segnale di modernità sono i piccoli pannelli solari che servono ad illuminare le baracche, a fare andare i rari televisori presenti in comunità e un piccolo ristorantino, appena inaugurato, costruito grazie al contributo di “Cucineros sin Fronteras”. Con 100 pesos si può telefonare dall'unico punto in cui il cellulare ad uso comunitario capta il segnale. In fondo al villaggio c'è una struttura a forma di capanna, grande, che è un po' il cuore della comunità: qui sotto si riunisce la comunità per decidere, si fanno le feste (molto belle e colorate al ritmo della musica caraibica), si fanno i momenti di preghiera ecumenici.
Un altro luogo significativo è il monumento composto da singole pietre colorate, ciascuna con sopra scritto il nome di un membro della comunità ucciso in questi anni dai militari, dai paramilitari o dalla guerriglia.
La vita è incentrata molto sui lavori comunitari: insieme si lavora la terra che appartiene alla comunità, insieme si prendono le decisioni.
Il tutto non sa di antico, mancante cioè di quella modernità che per noi vuol dire comodità e tecnologia, no, sa proprio di uno stile di vita differente, completamente “altro” rispetto al nostro. Quindi molta semplicità e genuinità.
Paradossalmente in comunità si respira anche serenità e a tratti gioia. Questa impressione che abbiamo avuto nei pochi giorni di permanenza sul posto, ci viene confermata dai volontari nord americani del FOR (Fellowship of Reconciliation) da un anno presenti sul posto. Loro stessi ci dicono che nei villaggi intorno la gente è molto più tesa e cupa. Dico “paradossalmente” perchè questa comunità, ed in genere i campesinos della zona, stanno pagando un prezzo molto alto per la loro scelta di rimanere li senza sfollare altrove. Più di 180 sono stati i morti ad opera della guerriglia ma soprattutto dei militari di stanza sul posto e dei paramilitari. L'ultima ad aver perso la vita è stata la signora Margarita che il 24 Dicembre è stata fatta saltare per aria da una bomba lanciata dai soldati, mentre raccoglieva l'erba in un campo.

L'impatto per noi stranieri è molto forte, è una esperienza di nonviolenza vissuta carica di significato.
Una comunità fatta di più di 1000 persone, perseguitata, colpita nei suoi leaders, nei suoi bambini, che non odia, non progetta vendetta, non risponde prendendo le armi in mano ma va avanti, resistendo, fedele alla sua scelta di nonviolenza attiva (l'alcool è stato del tutto abolito perchè causa di violenze intrafamiliari e intracomunitarie, il livello di violenza è tenuto molto basso e i leaders sono deputati a facilitare la risoluzione di eventuali contese in maniera nonviolenta), una comunità che lotta per avere vita, dignità e rispetto.
Ora capiamo perchè un gruppo nordamericano l'ha proposta lo scorso anno per il Premio Nobel per la pace.


Alcune testimonianze dirette

Un leader della comunità:

Questa lotta ci ha diviso: la Colombia ha un conflitto interno da più di 40, 50 anni.
Lo Stato lo ha sempre nascosto, il presidente Uribe non ne parla mai.
La conseguenza più grossa è che viene sterminato un popolo.
Noi vogliamo mostrare questa realtà,per questo cerchiamo e abbiamo bisogno di appoggio internazionale, perchè in Colombia non abbiamo appoggi ma "siamo noi che ci mettiamo la carne, siamo noi che ci mettiamo il sangue, noi ci mettiamo i morti”.
Noi siamo campesinos, poveri ma siamo esseri umani.
Ci siamo organizzati in questa forma perchè era l'unica possibile per una comunità che cerca vita e dignità. Non vogliamo soldi ma rispetto e diritti.
A chi ci vuole aiutare diciamo: aiutateci facendo fare pressione dai vostri governi sul governo colombiano. Al governo chiediamo di farci uscire dalla miseria, gli chiediamo vita, salute, educazione, inserimento sociale. Lo stato non rispetta il nostro diritto alla vita come punto centrale perchè qui si muore a causa della guerra.
Noi chiediamo il diritto alla terra di origine delle nostre famiglie e non regali (non c'è certificato di proprietà ma da sempre la terra è coltivata dalle loro famiglie). Se sfolliamo lo stato vende la nostra terra ai ricchi.
Noi vogliamo lavorare e vivere in pace, non vogliamo essere vittime di questo conflitto che non ci appartiene. Non vogliamo armi e non ci alleiamo con chi le porta e le usa.

Una ragazza di 16 anni, Y., ci parla della sua esperienza nella comunità di pace:

Abito qui a Union da 10 anni. Ho dovuto vivere tutto quello che è successo in questa comunità, ma il momento più terribile fu 8 anni fa, quando uccisero 6 persone.
Avevo 8 anni. Una sera ero in casa tranquilla a fare le solite cose quando sono arrivati i paramilitari e hanno preso il signor Eliodino che si stava lavando.
Loro sono arrivati al villaggio e hanno radunato tutta la comunità. Subito ci siamo chiusi dentro e ci siamo buttati per terra.
Quando siamo usciti abbiamo trovato 6 morti sotto casa e i parenti che piangevano. Perchè hanno radunato tutti e ne hanno scelto 6?
Una mamma vide in diretta la morte dei suoi due figli, Rigoberto Gusmann e Jaime Gusmann. Rigoberto aveva moglie e figli. I figli e la moglie piangevano. A me ha fatto molta paura vedere i 2 figli di Rigoberto su di lui e la moglie che gli scuoteva la testa per vedere se era vivo.
Dopo tre giorni è venuto un elicottero del governo per ricomporre i corpi dei morti ma non ha potuto farlo perchè stavano marcendo e allora li hanno lasciati lì altri 3 giorni. In questo tempo noi bambini abbiamo vigilato sui corpi per non farli mangiare dai cani.
Dopo sono tornati i signori del governo che hanno ricomposto i corpi rendendoli presentabili e dopo hanno fatto il funerale e sono stati sepolti nel cimitero della comunità.
Qui ad Union abbiamo un monumento fatto di pietre, ogni pietra porta inciso un nome di persona uccisa e il posto della morte. Noi li andiamo sempre a vedere e li ricordiamo.
Nemmeno oggi vivo tranquilla. Ho molta paura e sono nervosa quando vedo i militari. Quando non ci sono, io sono più tranquilla.
Voglio pace, tranquillità, basta guerra e gente morta. L'unica cosa che voglio è stare tranquilla”.

B., mamma di 5 figli:

Sono nata 41 anni fa qui, ho 5 figli. Viviamo una situazione difficile. Vivo la preoccupazione per i figli e non solo per i miei ma per tutti i nostri bambini della comunità.
Per noi l'educazione formale che da’ lo Stato è una preoccupazione costante.
I Contenuti dei programmi non sono coerenti con la realtà dei nostri popoli indigeni. Questa educazione ci fa perdere la nostra propria cultura, l'identità del nostro popolo che si concentra nella terra.
I nostri bimbi sono condizionati e toccati dal vedere i militari e la guerriglia che girano intorno alla nostra comunità, per loro questo è spazio di gioco e di vita. Questi attori armati hanno un impatto molto negativo sull’infanzia e sulla crescita dei nostri figli.
La nostra comunità di pace denuncia il fatto che lo Stato fa un investimento brutale sulle armi dimenticando i bisogni essenziali: sanità, educazione, vita e dignità.


Vedere tutta questa gente che continuamente minaccia la comunità di pace, è dura, e mentre il governo dice sui media che uccidendo noi uccidono dei guerriglieri, la strage va avanti e le uccisioni non terminano.
Secondo me si potrebbe però uscire da questa situazione con il sostegno politico di associazioni internazionali e con l’arrivo di gruppi disposti a vivere qui con noi: ci danno molta sicurezza gli stranieri presenti, sicurezza per la nostra stessa vita.
…Io come persona guardo molto al Signore Gesù, curo molto la mia fede. Credo che il mio unico cammino sia avere speranza in Dio”.

Torniamo in Italia avendo toccato con mano ancora una volta che la nonviolenza attiva è possibile viverla (e non solo a livello personale) e che questa esperienza così forte e significativa va assolutamente sostenuta!

I volontari dell’Operazione Colomba
Corpo Nonviolento di Pace della
Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII

ULTERIORI FOTO NELLA APPOSITA SEZIONE DEL SITO
www.operazionecolomba.it

SITO UFFICIALE DELLA COMUNITA’ DI PACE DI SAN JOSE’ DE APARTADO’
www.cdpsanjose.org

martedì 29 gennaio 2008

Cena di Solidarietà Medici per i Diritti Umani - Roma

M e d i c i p e r i D i r i t t i U m a n i onlus

ha il piacere di invitarvi:

1 Febbraio 2008 ore 20:30
Custom Station Roma DrinkRestaurant
Via Labicana n°86

Menù:
Pizza/calzone/2 primi piatti a scelta
2 secondi piatti a scelta
Contorni: Tiramisù, Bevande
EURO: 25

Il ricavato sarà utilizzato per finanziare il progetto di assistenza sanitaria per le persone senza fissa dimora: posta@mediciperidirittiumani.org
www.mediciperidirittiumani.org

sabato 26 gennaio 2008

INCHIESTA SU CIVILI UCCISI "TRUCCATI" DA RIBELLI

COLOMBIA

25/1/2008

INCHIESTA SU CIVILI UCCISI "TRUCCATI" DA RIBELLI


Giustizia e diritti umani, Brief

“Alcuni membri dell’esercito continuano a uccidere in questo modo: mettendo pistole in mano a civili ammazzati” ha detto a ‘Tv Caracol’ l’ex-sergente Alexander Rodríguez, affermando di essere stato testimone in prima persona nel 2007 di almeno cinque casi di civili assassinati dai militari nel nord-ovest del paese. Rodríguez, rimasto in servizio per 17 anni, ha denunciato i fatti alla Procura generale che ha avviato indagini. Gli episodi risalirebbero a un periodo compreso tra il giugno e il luglio scorso nei comuni di San Calixto e El Tarra, nel dipartimento di Norte de Santader: “Gli ordini erano di ‘pulire’ i villaggi dalle persone sospettate di collaborare con la guerriglia” ha detto ancora Rodríguez, denunciando di essere oggetto di minacce di morte da parte di alcuni ufficiali responsabili dell’operazione. Consultato dalla stessa emittente, il generale Joaquín Cortés, incaricato dall’esercito di indagare sulla vicenda, si è limitato a replicare che “Rodríguez ha mostrato in più occasioni mancanze disciplinari”. Ieri in una conferenza stampa a Bogotá, la Missione di osservazione internazionale sulle esecuzioni arbitrarie e l’impunità, (composta da 13 esperti di Germania, Spagna, Stati Uniti, Francia e Inghilterra), ha diffuso un nuovo rapporto confermando che gli omicidi di civili avvengono nel corso di operazioni militari in cui sono presentati come “perdite in combattimento”. Un rapporto dell’Onu sulle violazioni dei diritti umani compiute in Colombia pubblicato lo scorso anno affermava che l’esercito continua a essere il principale responsabile degli abusi.

martedì 22 gennaio 2008

Giornata internazionale per la fine dell'assedio di Gaza

Giornata internazionale per la fine dell'assedio di Gaza:

LA TENACIA DI RESISTERE, IL CORAGGIO DI RIFIUTARE (www.end-gaza-siege.ps)

Roma - 26 gennaio 2008dalle 10.00 alle 14.00 sala di "Carta"- via scalo di San Lorenzo, 67

Nell’ambito della Giornata globale di azione del Forum Sociale Mondiale (www.wsf2008.net)

INTRODUCE: Alessandra Mecozzi, responsabile internazionale Fiom-Cgil

INTERVENGONO: Basel Mansour, Comitato popolare per la resistenza contro il Muro, Bil'in-Palestina Noam Livne, Courage to Refuse, Tel Aviv-Israele Lama Hourani, International women commission, Gaza-Palestina Luisa Morgantini, vicepresidente Parlamento Europeo Samir Al-Qaryouti, Comunità palestinese Roma e Lazio.

La Fondazione Basso presenterà la borsa di studio "Daniel Amit"

Promuovono: Arci, Associazione per la Pace, Cgil, Donne in Nero, Ebrei Contro l'Occupazione, Fiom-Cgil, Giovani Comunisti/e, Prc-Se, Rete Nazionale Radiè ReshAderiscono:Comunità palestinese di Roma e Lazio, Mezzaluna Rossa palestineseper informazioni:

lunedì 21 gennaio 2008

La carovana dei movimenti italiani in appoggio a Evo



Autogoverno, controllo delle risorse, cooperazione dal basso. Il «laboratorio Bolivia» voterà la nuova costituzione che ridisegna il volto del paese andino.Ma i poteri forti tornano all'attacco. E i movimenti italiani corrono in aiuto.
Giuseppe De MarzoLa Paz
Il cielo è schiacciato sulle teste delle case di mattoni rossi che si accalcano una sull’altra nelle strade di La Paz. La terra si confonde sui volti degli Aymara e dei Quechua che affollano le strade che collegano la capitale boliviana alla città di El Alto, culla della ribellione sociale ed indigena che tra il 2000 e il 2006 ha sconfitto le privatizzazioni dell’acqua e del gas imposte dalle multinazionali, dal FMI e dalla BM ed ha respinto la repressione militare costata la fuga e le dimissioni di due presidenti.Ad accogliere la carovana organizzata da A Sud insieme ai movimenti italiani, alla quale partecipano anche esponenti del PRC, i Ponchos Rojos, l’avanguardia della resistenza indigena figlia di Tupak Katari e Bartolina Sisa, simboli di una lotta che attraversa secoli di storia. La carovana fa seguito all’incontro dello scorso 29 ottobre nell’edificio occupato di Via De Lollis a Roma con il presidente Evo Morales che in quell’inedita occasione, incontrò i principali movimenti italiani, dalla Val di Susa ai No dal Molin, passando per Action, A Sud, il Forum dell’acqua, la rete rifiuti zero, i collettivi studenteschi, la Fiom ed i sindacati di base, tra gli altri. Siamo qui in un momento di grande importanza per la trasformazione sociale di questo paese. Un cambiamento che riguarda la difesa dei beni comuni, forme inedite di autogoverno e di democrazia partecipata, l’obiettivo di un nuovo contratto sociale costruito su diritti e partecipazione, e l’inedita possibilità del superamento, sul piano internazionale delle istituzioni finanziarie e commerciali che, in questi ultimi venti anni, sono state alla base dell’esclusione sociale, delle guerre, dell’impoverimento del pianeta.“Evo cumple, mi revolucion avanza”, è scritto su tutti i muri ed è il senso degli incontri che si susseguono in vari luoghi del paesi con i dirigenti della Fejuve, della COB, della COR, dei Comitati per l’acqua, delle organizzazioni contadine, che raccontano come adesso la destra, -insieme alle oligarchie locali sostenute dal governo statunitense e dalle multinazionali, che non hanno digerito la “nazionalizzazione” degli idrocarburi -, cerchino di destabilizzare il paese e di distruggere il cambiamento in corso. Un progetto già messo in scena l’11 gennaio dello scorso anno, quando a Cochabamba i poteri forti hanno utilizzato la “gioventù di Santa Cruz”, fascista e razzista, per tentare di imporre con le armi l’autonomia dei territori ricchi di risorse energetiche, che già avevano bocciato i referendum sull’autonomia proposti dai prefetti delle regioni della cosiddetta mezza luna.“A matar al indios”era lo slogan di quei giorni in cui i contadini ed i movimenti hanno dovuto respingere l’assalto che mirava a gettare il paese nel caos e che ha provocato tre morti e duecento feriti. A distanza di un anno da quell’11 gennaio la “rivoluzione democratica” avanza e all’ordine del giorno vi è la nuova Costituzione promossa dall’assemblea costituente, voluta dai movimenti, che per la prima volta non solo riconosce l’esistenza di un paese plurinazionale e multiculturale, ma sancisce l’inviolabilità dei diritti fondamentali e la difesa dei beni comuni e dei servizi basici come elementi fondativi del nuovo contratto sociale. Tra circa quattro mesi il popolo sarà chiamato a votarla e su questo si gioca una enorme partita. I movimenti, nonostante rivendichino la loro autonomia, consci del momento storico, appoggiano la nuova costituzione che rappresenterebbe una conquista enorme per gli esclusi dal “progresso” e dalle immense ricchezze energetiche del paese, spogliato in questi cinquecento anni di grandi fortune ma ancora estremamente ricco. Anche quando veniamo accolti dai Ponchos Rojos nella città di Achacachi, capitale della ribellione Aymara, nella provincia di Omasuyo, il sindaco Eugenio Rojas e migliaia di cittadini in assemblea permanente ci esprimono la loro decisione di avanzare su questo terreno. Una festa bellissima in cui si da inizio ad un progetto di cooperazione dal basso, sostenuto dal comune e dalla provincia di Roma, che rafforzerà la sovranità alimentare ed idrica di migliaia di famiglie. E a Cochabamba, la città della guerra dell’acqua, nella comunità di Chilimarca, per la prima volta è stata realizzata una rete fognaria in totale autonomia di cui beneficeranno ottomila persone. Sono i “guerrieri dell’acqua” che nonostante anni di lotte non avevano mai avuto accesso ai servizi basici. Un progetto “alternativo” portato avanti da A Sud e sostenuto dalla provincia di Venezia con l’istituzione di una tassa di un centesimo a metro cubo d’acqua consumato, che dimostra come sia possibile immaginare una cooperazione diversa in cui sia la comunità a decidere, a gestire ed essere proprietaria delle strutture. La Bolivia è un laboratorio su molti fronti, anche per ciò che riguarda la formazione universitaria, come ci spiega il rettore della UPEA, l’Università Autonoma de El Alto, nata proprio nel 2000. Qui si sperimentano forme di cogestione con gli studenti, si insegna anche “cosmogonia Aymara” e si partecipa alle lotte sociali, alle manifestazioni e ai processi di trasformazione del paese. Un’università unica al mondo, costruita e sostenuta dal basso. Ultima tappa per la nostra missione: il Palacio Quemado a Plaza Murillo. Siamo stati invitati dal presidente Evo Morales nel palazzo di governo. Un palazzo che forse nessuno avrebbe pensato potesse essere “abitato” da un indigeno, sindacalista e cocalero. Consegniamo a Sacha Llorenti, viceministro della presidenza per i rapporti con i movimenti sociali, la lettera di appoggio dei movimenti italiani. Qui in Bolivia il cielo è molto vicino alla terra, e pare davvero si possa immaginare quello che altrove sembra impossibile.

Il Manifesto, 18 gennaio 2008

giovedì 17 gennaio 2008

Ritorno di famiglie sfollate della Comunità di Pace di San Josè de Apartadò



Ritorno alla frazione Mulatos, 21 febbraio 2008


Il 21 febbraio 2005 LUIS EDUARDO, BELLANIRA, ALFONSO, SANDRA, SANTIAGO, ALEJANDRO, NATALIA, DEINER sono stati assassinati dall’esercito a Mulatos e a Resbaloza, un massacro crudele e sfacciato. In quell’occasione lo Stato ha mostrato quel volto che abbiamo avuto modo di conoscere negli anni, perché tutte le istituzioni si sono unite per cercare di insabbiare l'orrendo avvenimento e gettare la colpa sulla comunità stessa, per poterla in seguito annientare. La storia ci ha dato ragione, e si è potuto constatare come la verità fosse proprio corrispondente a quanto abbiamo sempre detto.

Quel massacro voleva essere il culmine dello sterminio attuato in queste zone, e l’occasione per installarvi i paramilitari, come lo Stato ha già fatto in quasi tutta la regione dell’Urabá, ma ancora una volta la storia e la resistenza civile delle vittime ha impedito che tutto ciò si verificasse, nonostante gli orrori compiuti in queste frazioni.
Vale la pena ricordare la storia delle barbarie compiute dallo Stato in questa zona, alla quale ci apprestiamo a tornare con l’animo di farla rifiorire e di seminare vita con dignità. Nel 1977 l’esercito uccide 8 contadini, da lì in poi continuano le minacce e gli sfollamenti ininterrotti, nel 1996 l’esercito e i paramilitari sfollano ulteriori famiglie, cosicché nell’aprile del 97 le frazioni sono ormai disabitate. La comunità comincia un processo di ritorno e, tra il 2000 e il 2001, 128 famiglie rientrano a Mulatos e a Resbaloza, dove si costruiscono case, si semina, si rimette in piedi la scuola e c’è un professore della comunità; i gruppi di lavoro hanno riportato in vita luoghi dov’era stata seminata la morte con fucili e proiettili.
Ma l’attacco contro la popolazione civile non si è fatto attendere. Nel 2003 cominciano attacchi indiscriminati contro tutte le frazioni, e in meno di un anno, le azioni congiunte di esercito e paramilitari costringono la gente allo sfollamento ben 8 volte, e vengono assassinate 12 persone tra cui un bambino. Di fronte a questa follia dello Stato, la maggioranza della gente decide di non ritornare, e a Mulatos restano solo 12 famiglie. In questa situazione Luis Eduardo e Alfonso propongono la creazione delle zone umanitarie, e si inizia il lavoro per rendere possibile un’altra volta il ritorno della gente, e per esigere il rispetto della vita da parte degli attori armati.
Lo Stato però vuole risolvere il problema una volta per tutte, e così l’esercito, il 21 febbraio del 2005, compie un massacro con l’intento di sterminare tutti, o costringerli ad andarsene una volta per sempre. In quel momento sembrano ottenere l’effeto sperato, ma anche in quell’occasione gli assassini si stanno sbagliando, perché chi vive praticando la resistenza civile non retrocede di fronte all’ingiustizia, e la memoria dei nostri morti ci dà la forza per andare avanti.
Proprio grazie a questa memoria, a tre anni dal massacro torniamo nuovamente a Mulatos, e da lì riprenderà a fiorire la vita in dignità. Sappiamo che gli stessi autori del massacro del 21 febbraio cercheranno ancora di sterminarci, ma non retrocederemo di un passo, anzi la solidarietà di tanta gente che crede nella verità e nella giustizia ci spinge a continuare a seminare vita.
Partiremo la mattina del 20 febbraio da San Josesito in direzione Mulatos, faremo tappa in alcune abitazioni di famiglie già ritornate, quindi celebreremo l’eucaristia nel luogo in cui è stato ucciso Luis Eduardo e in seguito andremo dov’è stato assassinato Alfonso. Qui procederemo a un resoconto dell’orrore che si è vissuto in queste zone, in serata condivideremo la situazione con le persone che si stanno apprestando a ritornare alle frazioni per costituirvi le zone umanitarie: La Hoz, Rodozali, el Venado, Sabaleta, Resbalosa. Il 21 febbraio passeremo per alcuni dei luoghi dove si è voluto seminare morte, e per La Esperanza e La Unión, per poi fare ritorno a San Josesito il 23.
Speriamo di poter condividere questa esperienza con molta gente, in solidarietà, e sappiamo che molti di coloro che non potranno essere lì ad accompagnarci direttamente faranno un atto di memoria per ricordare le persone assassinate e per esigere il rispetto di tutti coloro che stanno attuando il ritorno. Ringraziamo per tutta la solidarietà ricevuta in questo cammino di dignità.

COMUNITÀ DI PACE D SAN JOSÉ DE APARTADÒ
15 gennaio 2008
--
Comunidad de Paz de San José de Apartadó
http://www.cdpsanjose.org

La parola errante - solidarietà con il popolo Mapuche del Cile

“Wenuykan” – amicizia con il popolo Mapuche presenta:
La parola errante
recital di poesie musicate con il tamburo rituale mapuche “kultrun” e conferenza stampa sulla situazione dei prigionieri politici Mapuche in Cile

Rayen Kvyeh – poetessa Mapuche
Libreria Odradek
Via Dei Banchi Vecchi n. 57 – ROMA
25 gennaio – h. 18

partecipano:
Rayen Kvyeh – poetessa mapuche
Geraldina Colotti – Il manifesto
Annalisa Melandri – www.annalisamelandri.it
Giuseppe De Marzo – Associazione A Sud
Gavino Puggioni - Associazione Wenuykan, wenuykan@gmail.com
e con la partecipazione di Radio Onda Rossa

La poesia di Rayen Kvyeh viene dalla terra, perchè Mapuche vuol dire “uomini della terra” e viene dall’amore, che si percepisce in ogni suo verso: amore per il suo popolo, per la natura, per la libertà e per la vita.
E’ poesia lenta e sacra come la storia del popolo Mapuche “scritta nel legno, nelle pagine del tempo...”
E’ la voce di Lautaro, figlio della Terra che “parla ai suoi fratelli” attraverso la saggezza degli antichi.

La poesia di Rayen Kvyeh è “terrena” nel senso di essere un vibrante canto di dignità, un potente strumento di lotta, una denuncia toccante e nello stesso momento è “lunare” (Kvyeh vuol dire luna) nel senso di contemplazione rapita e stregata delle montagne, degli “indimenticabili tramonti”, dell’ “aurora con il suo arcobaleno di colori” che apparirà per ricordare chi sono i figli di quella Terra.

Rayen Kvyeh è nata a Weken in Cile. Costretta all’esilio dalla dittatura di Pinochet va a vivere in Germania dove collabora attivamente alle iniziative politiche e culturali degli esiliati. Una sua opera teatrale viene messa in scena a Friburgo. La sua raccolta di poesie Wvne Coyvn Ñi Kvyeh (Luna dei primi germogli) ha inaugurato nel 2006 la collana bilingue di poesia indigena “Le voci della terra” della casa editrice Gorée di Monticiano (Siena). Oltre a Luna de cenizas (Luna di cenere), scritto in spagnolo, ha concluso recentemente un nuovo libro nella sua lingua indigena, che verrà presto tradotto in italiano. Nel 1995 ha vinto a Cuba il premio Josè María Heredia e nel 1998 sempre a Cuba è nominata Presidente Onorario del Centro internazionale delle Culture Indigene. Nel 2007 è stata Menzionata Speciale (seconda classificata) al XXIII Premio Internazionale di Poesia Nosside.

mercoledì 16 gennaio 2008

Forza pubblica maltratta degli indigeni in Silvia Cauca



Il consiglio territoriale delle autorità indigene dell’Oriente Caucano COTAINDOC, denuncia, rifiuta e condanna pubblicamente la detenzione e le aggressioni fisiche e verbali contro gli indigeni delle comunità in Silvia Cauca.


Il 6 Gennaio scorso alle 10.45 P.M. le unità di polizia del dipartimento municipale di Silvia, in testa al suo comandante, in maniera violenta e ingiustificata, hanno sottoposto a custodia cautelare il consigliero maggiore dei consigli comunali del territorio dell’Oriente Jorge Eliecer Sanchez e il conducente del veicolo in cui viaggiavano, Victor Dario Fernandez e li hanno portati alle strutture della caserma di polizia dove sono stati aggrediti in maniera brutale, vile e codarda come accade sempre contro persone indifese.
Fatti come questo accadono ripetutamente a persone indigene che per il solo fatto di portare un poncho vengono maltrattate.


Allo stesso modo, la Comunità Nasa del Resguardo indigena di Quichaya, nega pubblicamente di appartenere a gruppi armati in maniera illegale, deliberatamente che come popoli indigeni manteniamo la nostra posizione politica di autonomia di fronte al conflitto armato, nel quale non siamo attori né parte di questa guerra e garantiamo che gli altri indigeni che furono detenuti dall’esercito il 5 gennaio di quest’anno, mantengono un buon comportamento e una buona condotta all’interno della comunità, nella quale JOSE ALBERTO YONDA ha prestato servizio come autorità tradizionale e legittima nel 2007 e JOAQUIN GUETIO nel 2003, e JUVENAL GUETIO, non causarono alcun problema. In questa occasione sfortunatamente a causa della mancanza di offerte di lavoro e di terre adatte nel risguardo, queste persone sono costrette a emigrare a lavorare a giornata per mantenere le proprie famiglie, il che viene visto come un atto terrorista, sovversivo e militare da parte dello stato colombiano.


Secondo noi popoli indigeni, la nostra dignità e identità di essere autoctoni e non colonizzatori, inquisitori e oppressori è una forza e continueremo a testa alta, di fronte alle azioni esterne e agli atti della forza pubblica, che non garantiscono affatto il benessere e l’ordine della popolazione civile. Allo stesso modo, diciamo chiaramente che qualunque azione contro gli indigeni è un’aggressione e una violazione al Diritto Internazionale Umanitario e al diritto proprio dei popoli indigeni, poiché colpevole di azioni di genocidio.

08 Gennaio 2008

CONSIGLIO TERRITORIALE DELLE AUTORITA’ INDIGENE DELL’ ORIENTE CAUCANO E DEL RESGUARDO INDIGENO DI QUICHAYA.

*Tejido de Comunicación y Relaciones Externas para la Verdad y la Vida
Asociación de Cabildos Indígenas del Norte del Cauca - ACIN
Telefax: 0928 - 290958 - 293999
Email: acincauca@yahoo.es
Web: www.nasaacin.net
Santander de Quilichao Cauca - Colombia

sabato 12 gennaio 2008

Roma, 13 gennaio, incontro "Enlazando Alternativas"

Roma 20/12/2008

Care/i compagne/i, la presente è per invitarvi a Roma (domenica 13 GENNAIO 2008) alla importante riunione del costituendo Nodo Italiano di "Enlazando Alternativas" (EA), una rete bi-regionale dei movimenti tra Unione Europea ed America Latina e Caraibi. La riunione serve a presentare la rete, a coordinare la riunione internazionale a Roma (9-10 FEBBRAIO) e a preparare la mobilitazione di EA di Lima (Perù) in occasione del Vertice tra Ue ed America Latina a Maggio del 2008. Ad oggi sono più di 200 organizzazioni dei due continenti che fanno riferimento a questa rete. La rete è nata nel maggio del 2004 a Guadalajara (Mexico) in occasione del vertice dei capi di Stato della UE ed AL e la sua nascita riflette la necessità di coordinare le resistenze in entrambe i continenti e di definire le possibili alternative tra i rispettivi movimenti. Il tentativo è quello di superare il concetto classico di "solidarietà", verso la costruzione di un programma e di una agenda comuni.
In particolare il lavoro si è concentrato sulle attività delle imprese multinazionali "europee" in AL, sulle proposte di accordi commerciali (UE-Mercosur, UE-Can), integrazione regionale, migrazioni, militarizzazione, servizi, agricoltura (maggiori dettagli www.enlazandoalternativas.org http://www.enlazandoalternativas.org/ in costruzione). La creazione di EA apre un nuovo capitolo nelle relazioni tra i popoli, articolando organizzazioni e movimenti sociali dei due continenti, con l'obiettivo di costruire proposte alternative di organizzazione sociale ed economica dal basso, e di rafforzare il dialogo politico tra i popoli. Dopo l'evento di Guadalajara, la rete è stata presente nel Foro Sociale Europeo (Londra 2004), Foro Sociale Mondiale (Brasile 2005), Foro Sociale delle Americhe (Quito 2006), Foro Sociale Mondiale (Caracas 2006), Cumbre UE-AL (Vienna Maggio 2006), Cumbre America Latina (Santiago de Chile Novembre 2007), Cumbre de los Pueblos del Sur (Montevideo Dicembre 2007).
Nell¹ambito degli eventi realizzati, segnaliamo anche le sessioni del Tribunale Permanente dei Popoli che ha esaminato diversi casi di violazioni da parte delle multinazionali, sia sul versante europeo che su quello latinoamericano. Dall'Italia vogliamo portare alcuni casi emblematici che riguardano imprese italiane. In Italia stiamo anche costruendo un sito per la mappatura ragionata della presenza delle imprese italiane in America Latina a cui chiediamo a tutte/i di contribuire con le loro conoscenze e rapporti.
E' per discutere di tutto questo che vi invitiamo a essere presenti il giorno 13 gennaio a Roma, presso la Città dell' altra economia (piazza Dino> Frisullo ­ Villaggio Globale, zona Testaccio) dalle ore 10,00 fino alle 17,00.
Ringraziandovi per l'attenzione, e contando davvero sulla vostra partecipazione a questo importante appuntamento, vi chiediamo di far girare questo invito e di confermarci il prima possibile la vostra presenza.

Un abbraccio,
Comitato promotore del costituendo "Nodo italiano di Enlazando Alternativas" (Associazione Italia-Nicaragua, Comitato di appoggio ai Sem Terra, Contratto Mondiale per l'Energia, Collettivo Italia-Centro-America, Fondazione Zanchetta, Forum Ambientalista, Giovani Comuniste/i, Partito della Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, Progetto Dignidad Rebelde, SdL, Transform Italia, Tribunale permanente dei Popoli)

Nuove minacce denunciate - Comunità di Pace di San Josè de Apartadò



MINACCE E PERSECUZIONE CONTRO I FAMILIARI DI MARGARITA GIRALDO


Ravvisiamo con urgenza la necessità di sollecitare la solidarietà e di lasciare la testimonianza delle persecuzioni contro i familiari delle persone assassinate così come delle minacce continue contro la comunità.

Il giorno 6 gennaio alle 11:30 a.m., nuovamente l'esercito è arrivato a casa di Margarita GIRALDO, nella frazione di Arenas Bajas. Margarita era stata assassinata dallo stesso il 23 dicembre del 2007. In casa si trovavano LEIDY JIMENEZ GIRALDO figlia di Margarita ed Alberto JIMENEZ compagno di Margarita
L'esercito ha cominciato a dir loro che se non dicevano che Margarita era una guerrigliera li avrebbe ammazzati, loro hanno risposto ai militari che li ammazzassero pure ma che non avrebbero mentito, l'esercito continuò dicendo che ne avrebbero approfittato, dato che, se li ammazzavano, subito dopo la Comunità di Pace avrebbe fatto uscire la denuncia; dissero inoltre che in tutta la zona quella comunità guerrigliera figlia di puttana era fottuta e che, anche se avevano già realizzato il lavoro di ammazzare chi dovevano ammazzare nella zona, l'obiettivo centrale era quello di mettere fine alla comunità.
L'esercito continuò a dir loro che dovevano andare via da lì altrimenti li avrebbero ammazzati i para , perché a loro, ai militari, questa comunità figlia di puttana li aveva scocciati con questi comunicati, ma con i para non si giocava e che bastava passargli i nomi, i luoghi e tutto era pronto, così che se non dicevano alla procura che Margarita era una guerrigliera sarebbero morti; Leidy ed Alberto gli risposero nuovamente che Margarita non era una guerrigliera.
Dopo averli maltrattati, arrivò un altro soldato che cominciò a dir loro che dato che Margarita era morta e non poteva resuscitare, perché non dicevano che Margarita era una guerrigliera , così loro gli avrebbero dato tanti bei soldi, ed inoltre se loro si dichiaravano come reinsertati gli avrebbero dato ancora più denaro, e tutto era sistemato. Nuovamente Leidy ed Alberto risposero loro che Margarita non era guerrigliera e che nemmeno loro lo erano. Nuovamente i soldati cominciano ad insultarli dicendogli che li avrebbero assassinati. Tutto questo duro più di due ore.
Si dimostra nuovamente la barbarie con la quale si agisce e quali sono i piani di annichilimento che si impongono, è evidente come gli aguzzini pretendono di occultare la verità ricorrendo, come sempre, all'intimidazione, alla paura, alla minaccia, alla corruzione, alla morte; tuttavia davanti a questo la dignità delle vittime non retrocede. Facciamo un appello solidale a livello nazionale ed internazionale per esigere dallo stato il rispetto della vita dei parenti di Margarita, così come il blocco dei piani di sterminio contro la comunità ed i contadini della zona.

COMUNITÀ DI PACE DI SAN JOSÉ DI APARTATO
10 Gennaio 2008

sabato 5 gennaio 2008

Appello alle associazioni ed alla società civile italiana sul caso Telecom vs Bolivia



Stimati amici ed alleati,


Stiamo raccogliendo le firme di associazioni ed organizzazioni per la lettera qui allegata, diretta al Presidente della Banca Mondiale, per chiedere che non si proceda contro la Bolivia con la causa per un risarcimento milionario proposta dalla nostrana Telecom presso il CIADI. Lo scorso maggio il governo della Bolivia ha preso una decisione coraggiosa nello sfidare il potere eccessivo ed antidemocratico delle corporazioni globali rinunciando alla giurisdizione del foro arbitrale che regola gli investimenti della Banca Mondiale. Questo tribunale sta ora rifiutando di rispettare l’azione del governo boliviano e sta permettendo che si proceda legalmente nel caso presentato dalla compagnia di telecomunicazioni europea TECECOM contro la Bolivia. E’ molto importante che chi difende i diritti umani e la democrazia a livello internazionale alzi la voce per bloccare questo caso e fare pressione alla Banca Mondiale al fine di creare una convergenza internazionale indipendente che sia portatrice delle preoccupazioni presentatesi in tutto il mondo su un sistema che da troppi diritti agli investitori internazionali.


Se le vostre organizzazioni intendono aderire, per favore inviate la vostra adesione a maricadipierri@asud.net affinchè la vostra firma sia aggiunta alla lista delle associazioni o delle singole adesioni alla lettera, che sarà inviata in concerto con numerose altre associazioni internazionali al Presidente della Banca Mondiale entro e non oltre l'11 gennaio prossimo.


A tal fine vi preghiamo di indicare: Nome dell’organizzazione e Paese, Nome del rappresentante dell’organizzazione e Carica.


Vi ringraziamo per il sicuro interesse.

Per leggere la lettera proposta: www.asud.net/news/news.php?nw=272

Volontari dell'Operazione Colomba nella Comunità di Pace di San Josè de Apartadò

4 gennaio 2008

COMUNICATO STAMPA

Volontari dell’Operazione Colomba in visita alle comunità di pace in Colombia
Tre volontari dell'Operazione Colomba, il Corpo Nonviolento di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII fondata da don Benzi, sono da oggi in visita alla Comunità di Pace di San Josè de Apartadò, in Colombia.

Antonio De Filippis e Livio Dengo, italiani, e Alejandro Duransegura, Cileno, sono andati per portare una testimonianza concreta di solidarietà, per riscontrare sul campo la realtà della situazione e conoscere le necessità e le attività che svolgono le comunità indigene di pace che si sono formate nella regione di Urabà, dipartimento di Antioquia in Colombia.
Questo territorio, teatro di scontri tra esercito, paramilitari e guerriglie ormai da diversi decenni, è balzato in questi giorni all’attenzione dell’opinione pubblica italiana per il tentativo del Presidente venezuelano Hugo Chavez di instaurare una mediazione tra le parti anche per la liberazione di alcuni ostaggi nelle mani della guerriglia, in primis l’ex candidata alle presidenziali Ingrid Betancourt.

Meno nota all’opinione pubblica italiana è invece la condizione degli indigeni abitanti di queste comunità che da dieci anni circa si sono costituiti in “comunità di pace”, dichiarando pubblicamente la loro contrarietà ed estraneità all’uso della violenza e delle armi.
“Né con gli uni, né con gli altri, ma proposte nonviolenti di pace. Questa è la scelta coraggiosa fatta da queste comunità, una scelta, però, che in questi anni ha comportato decine di vittime innocenti, nella logica sempre più violenta del “o con noi o contro di noi” perpetrata dai diversi attori del conflitto armato” spiega Antonio De Filippis, responsabile dell’Operazione Colomba, al timone della missione.

“La nostra vuole essere una testimonianza concreta di sostegno all’esistenza e resistenza di queste realtà di pace, con la consapevolezza che se arriveranno proposte o “provocazioni”, ci interrogheremo anche su eventuali future presenze più stabili dell’Operazione Colomba in quell’area”.

Per l’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII
Il Vice-Responsabile Generale
Giovanni Ramonda

Per l’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII
L’Animatore Generale del Servizio Operazione Colomba
Antonio De Filippis
La presenza nella comunità si protrarrà sino all’ 8 gennaio.

www.operazionecolomba.it
www.cdpsanjose.org

Contatti in Italia:
Aronne Daniele
Cell. 349.4419638
Alberto Capannini
Tel./Fax 0541.29005