giovedì 14 maggio 2009

Solidarietà e sostegno a Mayerli e Aida: niente da dire ai criminali di Stato


13-5-2009

Autore: Tejido de Comunicaciones y Relaciones Externas
para la Verdad y la Vida - Acin

Non parliamo con i criminali finchè non sarà fatta giustizia. Se lo facessimo gli concederemmo una leggittimità che hanno perso con il loro agire e contribuiremmo a
lavare i loro crimini.

Compagne Aida Quicué e Mayerli Legarda. Ieri abbiamo ricevuto in modo vago la prima notizia del vile e codardo attacco contro Mayerli. Oggi, grazie al comunicato della Consejeria Mayor del CRIC, abbiamo appreso, con orrore e rabbia, informazioni più
precise sul fatto.

La prima cosa, la più profonda e sincera, è esprimervi con tutto il cuore la nostra solidarietà e il nostro affetto. Contate sul totale appoggio di noi del Tejido, con quello di tutta la comunità del Nord del Cauca e con quello dell'Acin.

Noi del Tejido de Comunicacion y Relaciones Externas para la Verdad y la Vida
vi offriamo tutta le nostre capacità ed attitudini nell'appoggiarvi in tutto quello che possa esservi utile e vi preghiamo di accettare la nostra offerta per superare questo terribile momento, per denunciare quello che si deve denunciare, per far conoscere la verità e dare l'avvio alla denuncia e alla volontà di resistere a questo regime di terrore e per farlo cessare. Per quello che manca e per quello che sia necessario.

Noi pensiamo che fino a quando non ci sia una protezione immediata, globale, solidale e reale per le vostre vite, per il movimento indigeno, per il nostro popolo e per il nostro agire, non ci sia di che parlare con questo regime e con un Governo che si è dimostrato nemico delle vostre vite e delle nostre. Esigiamo castigo e
giustizia per gli autori morali e materiali, fino al livello più alto, ell'uccisione di Edwin, compiuto per assassinare Lei in quanto Consejera Mayor. Questi atti di persecuzione citati nel comunicato e dei quali il più recente è l'attentato contro Meyerli, sono per noi prove sufficienti della permanente persecuzione criminale della quale siete oggetto, e con voi tutto il CRIC.

Proprio ieri, il così chiamato "el Aleman", comandante di squadroni della morte conosciuti col nome di paramilitari, nel contesto del processo di "justicia y paz", ha rivelato in una confessione sotto giuramento che Juan José Chaux Mosquera, ex Governatore del Cauca, già vincolato, secondo confessioni di altri paramilitari, insieme al così chiamato "HH" a questi squadroni della morte, era il Capo Politico del "Bloque Calima", uno dei gruppi più sanguinari del Paese. Questa rivelazione è un'ulteriore conferma sulla natura di un Governatore che conta con l'amicizia e che ha ricevuto tutto l'appoggio del Governo Uribe nella sua persecuzione dei popoli indigeni. Juan José Chaux ha dedicato la vita a perseguitarci sia in ambito pubblico che privato.
Non parliamo con dei criminali finchè non sarà fatta giustizia. Se lo facessimo gli concederemmo la leggittimità che hanno perso con il loro agire e contribuiremmo a
lavare i loro crimini.

Ricordiamo la minaccia firmada dai supposti "Campesinos Embejucados de Colombia", il cui linguaggio e contenuto coincidono con il modo con cui quell'individuo si riferiva al movimento indigeno e alle nostre autorità. Il modo in cui il Presidente Uribe ha protetto e remunerato Chaux Mosquera con onorificenze e benefici immeritati da un criminale e la sua partecipazione alle riunioni con paramilitari che ebbero luogo nella "Casa de Nari", ci obbligano a segnalare che i crimini contro Edwin, contro Mayerli, contro noi che lottiamo per la Madre Terra, e contro tutto il movimento indigeno e popolare, provengono dai settori più alti del Governo Nazionale.

Chiediamo al Paese, al mondo intero di riconoscere quello che sta succedendo in Colombia contro il popolo, contro il movimento indigeno, contro chi difende la parola e contro di voi, compagne. Un regime codardo e perverso ci sta perseguitando per aver fatto una propostapacifica e seria al Paese attraverso la Minga di Resistenza Sociale e Comunitaria, per zittirci usando il terrore. La vendetta e il terrore sono gli unici argomenti che rimangono a un Governo che essendo privo
della forza delle idee ricorre all'uso del terrore. Sono sintomi della paura di un Potere illeggittimo, che lo muovono a minacciare e a uccidere affinchè non si scopra tramite la giustizia e il diritto il carattere criminale dell'attentato che è costato la vita a Edwin. Sintomi della sua volontà di far tacere con la morte la verità che rivela il suo potere criminale.

Insistiamo sulla necessità di smantellare immediatamente la "Seguridad Democratica" e con questa l'uso del terrore contro la popolazione per cupidigia e volontà di
potere.Vogliamo e meritiamo la democrazia nella pace. Siamo popoli profondamente democratici, coscienti, pacifici, popoli della parola. Si sta tentando di far tacere il nostro esempio sia istituzionalmente che con l'uso della forza dello Stato usata per perseguitare e intimorire.

Compagne Aida e Mayerli. Siamo con voi. E' ora di cingervi e con la solidarietà del mondo scuoterci di dosso un regime criminale che va contro la vita e i diritti di tutte e tutti i colombiani. Chi dovrebbe proteggerci ci minaccia e ci attacca. Dobbiamo appellarci all'umanità tutta perchè difenda il popolo e la cittadinanza dal regime che governa la Colombia.

Con sincerità e affetto

Tejido de Comunicacion y Relaciones Externas para la Verdad y la Vida-ACIN
Santander de Quilichao, 13 Maggio 2009
www.nasaacin.org

martedì 12 maggio 2009

SI CHIUDONO LE INDAGINI NEI CONFRONTI DI 66 MILITARI IMPLICATI NEL MASSACRO DI SAN JOSE DE APARTADO E TIERRALTA


da "Semana", venerdì 8 maggio 2009

Il Procuratore che ha svolto le indagini su un
capitano, 10 sottufficiali, e 55 soldati non ha riscontrato elementi
sufficienti per accusarli. Ma per questo caso sono stati portati in
giudizio altri 10 militari e quattro paramilitari.

Quattro anni dopo i due massacri più ripugnanti commessi da paramilitari con l'aiuto di membri dell'esercito, la Procura ha decretato che 66 militari dei quasi
80 implicati nell'indagine, non hanno partecipato agli omicidi dei cinque adulti e dei tre bambini avvenuti nel municipio di San José de Apartado', Antioquia, e a Tierralta, dipartimento di Cordoba.

Secondo la deliberazione emessa da un procuratore dei Diritti Umani, non ci
sarebbero riscontri sufficienti per accusare il capitano Umana, 10 sottufficiali e 55 soldati appartenenti al battaglione di controguerriglia No.33 "Cacique Lutaima" facente parte della Brigata XVII dell'Esercito, accusati, tra le altre cose, di omicidio aggravato, terrorismo e associazione a delinquere.

Uno degli avvocati delle vittime ha dichiarato a "Semana.com" che questa decisione sarà portata in appello poichè, anche se questo gruppo di militari non avesse
partecipato direttamente alla mattanza, ha comunque avuto contatti permanenti con il Battaglione Velez, che pare sia quello che perpetrò il massacro.

Le indagini compiute hanno appurato che quel 21 febbraio 2005 il gruppo militare partì in direzione della fazione di Las Nieves (nel nord di Antioquia) guidato da un paramilitare detto "Melaza", vecchia conoscenza dei militari e che in quell'occasione portava un travestimento e aveva con sè un fucile d'ordinanza. Però non sarebbero stati nel luogo dove furono assassinati il leader contadino Luis
Eduardo Guerra Guerra, sua moglie Beyanir Areiza e suo figlio Deyner Andrés Guerra Tuberquia (vedi "Perchè ammazzarono i bambini?"). Non arrivarono neanche nel punto esatto dove furono squartati, a la Resbalosa (parte sud occidentale di Cordoba), Alejandro Pérez, Alfonso Bolivar Tuberquia, sua moglie Sandra Milena Munoz Pozo e i suoi piccoli figli Natalia e Santiago.

"Testimoni portati da alcuni paramilitari del gruppo "Eroi di Tovalà" hanno permesso di stabilire che all'incursione armata non parteciparono membri del menzionato
battaglione, ma che tuttavia esisterebbero responsabilità di alcuni militari del Battaglione di Fanteria appartenenti alla stessa brigata", segnala la Procura.

Il Battaglione Velez era al comando del colonnello Orlando Espinosa e del maggiore José Fernando Castano, i quali si riunivano frequentemente con i paramilitari e che sembra abbiano coordinato il massacro per vendicare un attacco delle Farc avvenuto
all'epoca e nel quale morirono un ufficiale e 18 soldati.

Di appartenenti a questo battaglione sono già stati citati in giudizio 10 militari, tra i quali il colonnello, il maggiore, due tenenti e seisottufficiali. Ed anche quattro paramilitari, tra i quali Diego Fernando murillo Bejarano, alias "Don Berna", ex comandante del Bloque Cacique Nutibara.

Per questi fatti sono in carcere Uber Dario Yanez Cavadias, alias "Comandante 21"; Joel José Vargas Florez, alias"Pirulo"; e Jorge Luis Salgado David, alias "Kiko", i quali hanno ammesso le loro responsabilità nei confronti delle accuse di crimini
consistenti in: omicidio di persona protetta, atti di barbarie e associacione a delinquere. Queste accuse sono state ammesse anche dal capitano dell'Esercito Nazionale Guillermo Armando Gordillo Sanchez.

lunedì 4 maggio 2009

COLOMBIA: LA SFIDA DEL MOVIMENTO INDIGENO

Fabio Marcelli

Si e’ concluso giovedi’ 30 aprile a La Maria, territorio di pace e negoziato, il
XIII Congresso del Consiglio Regionale Indigeno del Cauca, la piu’ forte ed
antica organizzazione colombiana del movimento indigeno, dopo quattro giorni di
intenso dibattito articolato in sette commissioni (salute, educazione, economia,
ambiente, governo proprio, rapporti con gli altri movimenti sociali in seno alla
minga indígena e popolare, pace e diritti umani, ) con la elezione del nuovo
gruppo dirigente e una festa di popolo che e’ durata oltre dodici ore, una vera
e propria esplosione di allegria e gioia di vivere di questi popoli che le sanno
abbinare in modo davvero ammirevole con la tenacia nella lotta e nella
resistenza che durano da oltre cinquecento anni. Al Congresso hanno partecipato
oltre diecimila delegati del Dipartimento del Cauca, culla del movimento
indigeno colombiano, in una regione che vede la presenza massiccia di varie
etnie originarie (Nasa, Guambianos, Yanacona, Kokonuko, Ingas ed altre ancora).
Il Congresso ha confermato la forza e il profondo radicamento di questa
organizzazione indígena, che costituisce una sede fondamentale di esercizio di
democrazia diretta, organizzazione di lotta, autogoverno ed orientamento
político. Fra gli osservatori internazionali era presente il sottoscritto in
rappresentanza delle associazioni dei giuristi democratici. Sui temi
dell’autogoverno indigeno e’ in corso altresi’ un progetto di ricerca
finanziato dalla Regione Lazio.

Proprio da La Maria era partita in ottobre la minga, grande mobilitazione
indígena e popolare, che dopo varie giornate di fieri scontri con la famigerata
polizia antisommossa di Uribe, gli ESMAD, che avevano lasciato sul alcune
vittime e vari feriti da arma da fuoco, era partita in marcia fino a Bogotá’,
rappresentando un essenziale momento di coagulo per tutti i movimenti popolari
colombiani: sindacati, contadini, afrodiscendenti, donne, studenti, tagliatori
di canna da zucchero.
Al termine della minga era iniziato un round di negoziati con il governo, nel
complesso abbastanza deludenti, ma con alcuni risultati concreti, quali
l’affossamento della legge di sviluppo rurale da parte della Corte
costituzionale e l’impegno del governo a firmare la Dichiarazione delle Nazioni
Unite sui diritti dei popoli indigeni, sia pure con alcune riserve. Circa un
mese dopo, la vendetta, nel peggior stile mafioso, l’assassinio di Edwin
Legarda ,sposo della principale dirigente indígena Aida Quilcue’. Proprio la
giornata finale del Congresso sette militari sono stati arrestati per questo
assassinio, ma sembra chiaro che le responsabilita’ siano ben piu’ in alto:
infatti l’omicidio era stato programmato come un ennesimo caso di “falso
positivo”, rivestire il cadavere degli assassinati, fra i quali doveva essere
la stessa Aida, con uniformi della guerriglia, per farli passare come membri
delle FARC uccisi in combattimento, il solito artificio usato da un governo
oramai alle corde per i numerosi scandali, le continue violazioni dei diritti
umani e la fedelta’ esclusiva alle multinazionali e all’alleato statunitense
Bush oramai consegnato alla pattumiera della storia.
Il XIII Congresso del CRIC ha confermato il ruolo di avanguardia svolto dal
movimento indigeno nell’attuale contesto di crisi acuta del regime uribista.
Fra le proposte piu’ significative approvate, oltre al rafforzamento
dell’autonomia e dell’autogoverno e al recupero delle terre comunitarie, la
mobilitazione per i piani di salvaguardia dei popoli indigeni minacciati dal
conflitto, che la Corte costituzionale ha chiesto al governo di varare entro
due mesi, la creazione di una guardia indígena nazionale e la proposta di
dibattito pubblico rivolta alle FARC, alle quali si chiede di rispettare la
neutralita’ dei territori e della popolazione indígena nel conflitto armato che
le oppone al governo. Il dibattito con le FARC dovrebbe vedere la presenza di
osservatori internazionali e se non sara’ possibile svolgerlo in un luogo
determinato per il possibile veto del governo, sara’ comunque svolto in forma
pubblica utilizzando strumenti virtuali. La guardia indígena, cui dovrebbero
affiancarsi analoghe organizzazioni dei contadini, degli afrodiscendenti, dei
sindacati, ecc., costituisce una formazione di autodifesa tendenzialmente
nonviolenta (armata di solidi bastoni ma soprattutto guidata dall’inflessibile
volonta’ política dei militanti indigeni) e pacifista, che rappresenta una
concreta alternativa al conflitto armato in corso oramai in Colombia da
lunghissimo tempo. Nei territori indigeni colombiani la guardia indígena
costituisce gia’ ora un fondamentale strumento di controllo del territorio e di
alternativa al conflitto.
Tale conflitto, come testimoniano studi approfonditi recentissimi svolti da
varie istituzioni di ricerca, non puo’ trovare una vía d’uscita militare e la
guerra fratricida continua a mietere vittime: fra i giovani guerriglieri e
soldati, ma soprattutto fra la popolazione civile. I movimenti sociali, primo
fra tutti il movimento indigeno, si assumono oggi fra l’altro il ruolo di
rilanciare un negoziato che non deve vedere come esclusivi partecipanti il
governo e le organizzazioni guerrigliere, ma deve svolgersi con il controllo e
la presenza organizzata del popolo colombiano, principale interessato a una
pace definitiva e duratura per una nuova Colombia. Le elezioni in programma per
la prossima primavera 2010 potranno a loro volta segnare, in un quadro di
crescita del movimento popolare, un punto di svolta per uno dei pochi governi
latinoamericani che ancora non hanno súbito il vento del cambiamento
progressista e rivoluzionario. In questo senso occorre guardare alle
mobilitazioni previste per luglio ed ottobre che sono state deliberate dal XIII
Congresso del CRIC e da tutti i movimenti sociali colombiani. Da segnalare
inoltre la candidatura di Aida Quilcue’ e di altri dirigenti indigeni al
Parlamento colombiano.

venerdì 1 maggio 2009

STORIA DEL 1° MAGGIO

Il 1° Maggio nasce come momento di lotta internazionale di tutti i lavoratori, senza barriere geografiche, né tanto meno sociali, per affermare i propri diritti, per raggiungere obiettivi, per migliorare la propria condizione.
"Otto ore di lavoro, otto di svago, otto per dormire" fu la parola d'ordine, coniata in Australia nel 1855, e condivisa da gran parte del movimento sindacale organizzato del primo Novecento. Si aprì così la strada a rivendicazioni generali e alla ricerca di un giorno, il primo Maggio, appunto, in cui tutti i lavoratori potessero incontrarsi per esercitare una forma di lotta e per affermare la propria autonomia e indipendenza.
La storia del primo Maggio rappresenta, oggi, il segno delle trasformazioni che hanno caratterizzato i flussi politici e sociali all'interno del movimento operaio dalla fine del secolo scorso in poi.

Le origini

Dal congresso dell'Associazione internazionale dei lavoratori - la Prima Internazionale - riunito a Ginevra nel settembre 1866, scaturì una proposta concreta: "otto ore come limite legale dell'attività lavorativa".
A sviluppare un grande movimento di lotta sulla questione delle otto ore furono soprattutto le organizzazioni dei lavoratori statunitensi. Lo Stato dell'Illinois, nel 1866, approvò una legge che introduceva la giornata lavorativa di otto ore, ma con limitazioni tali da impedirne l'estesa ed effettiva applicazione. L'entrata in vigore della legge era stata fissata per il 1 Maggio 1867 e per quel giorno venne organizzata a Chicago una grande manifestazione. Diecimila lavoratori diedero vita al più grande corteo mai visto per le strade della città americana.
Nell'ottobre del 1884 la Federation of Organized Trades and Labour Unions indicò nel 1 Maggio 1886 la data limite, a partire dalla quale gli operai americani si sarebbero rifiutati di lavorare più di otto ore al giorno.

1886: I "martiri di Chicago"

Il 1 Maggio 1886 cadeva di sabato, allora giornata lavorativa, ma in dodicimila fabbriche degli Stati Uniti 400 mila lavoratori incrociarono le braccia. Nella sola Chicago scioperarono e parteciparono al grande corteo in 80 mila. Tutto si svolse pacificamente, ma nei giorni successivi scioperi e manifestazioni proseguirono e nelle principali città industriali americane la tensione si fece sempre più acuta. Il lunedì la polizia fece fuoco contro i dimostranti radunati davanti ad una fabbrica per protestare contro i licenziamenti, provocando quattro morti. Per protesta fu indetta una manifestazione per il giorno dopo, durante la quale, mentre la polizia si avvicinava al palco degli oratori per interrompere il comizio, fu lanciata una bomba. I poliziotti aprirono il fuoco sulla folla. Alla fine si contarono otto morti e numerosi feriti. Il giorno dopo a Milwaukee la polizia sparò contro i manifestanti (operai polacchi) provocando nove vittime. Una feroce ondata repressiva si abbatté contro le organizzazioni sindacali e politiche dei lavoratori, le cui sedi furono devastate e chiuse e i cui dirigenti vennero arrestati. Per i fatti di Chicago furono condannati a morte otto noti esponenti anarchici malgrado non ci fossero prove della loro partecipazione all'attentato. Due di loro ebbero la pena commutata in ergastolo, uno venne trovato morto in cella, gli altri quattro furono impiccati in carcere l'11 novembre 1887. Il ricordo dei "martiri di Chicago" era diventato simbolo di lotta per le otto ore e riviveva nella giornata ad essa dedicata: il 1 Maggio.

1890: 1 maggio, per la prima volta manifestazione simultanea in tutto il mondo

Il 20 luglio 1889 il congresso costitutivo della Seconda Internazionale, riunito a Parigi, decise che "una grande manifestazione sarebbe stata organizzata per una data stabilita, in modo che simultaneamente i tutti i paesi e in tute le città, i lavoratori avrebbero chiesto alle pubbliche autorità di ridurre per legge la giornata lavorativa a otto ore".
La scelta cadde sul primo Maggio dell'anno successivo, appunto per il valore simbolico che quella giornata aveva assunto.
In Italia come negli altri Paesi il grande successo del 1 Maggio, concepita come manifestazione straordinaria e unica, indusse le organizzazioni operaie e socialiste a rinnovare l'evento anche per 1891.
Nella capitale la manifestazione era stata convocata in pazza Santa Croce in Gerusalemme, nel pressi di S.Giovanni. La tensione era alta, ci furono tumulti che provocarono diversi morti e feriti e centinaia di arresti tra i manifestanti.
Nel resto d'Italia e del mondo la replica del 1 Maggio ebbe uno svolgimento più tranquillo. Lo spirito di quella giornata si stava radicando nelle coscienze dei lavoratori.

1891: la festa dei lavoratori diventa permanente

Nell'agosto del 1891 il II congresso dell'Internazionale, riunito a Bruxelles, assunse la decisione di rendere permanente la ricorrenza. D'ora in avanti il 1 Maggio sarebbe stato la "festa dei lavoratori di tutti i paesi, nella quale i lavoratori dovevano manifestare la comunanza delle loro rivendicazioni e della loro solidarietà".

Il primo maggio durante il fascismo

Nel nostro Paese il fascismo decise la soppressione del 1 Maggio, che durante il ventennio fu fatto coincidere il con la celebrazione del 21 aprile, il cosiddetto Natale di Roma. Mentre la festa del lavoro assume una connotazione quanto mai "sovversiva", divenendo occasione per esprimere in forme diverse (dal garofano rosso all'occhiello, alle scritte sui muri, dalla diffusione di volantini alla riunione in osteria) l'opposizione al regime. Il 1 Maggio tornò a celebrarsi nel 1945, sei giorno dopo la liberazione dell'Italia.

1947: L'eccidio di Portella della Ginestra

La pagina più sanguinosa della festa del lavoro venne scritta nel 1947 a Portella della Ginestra, dove circa duemila persone del movimento contadino si erano date appuntamento per festeggiare la fine della dittatura e il ripristino delle libertà, mentre cadevano i secolari privilegi di pochi, dopo anni di sottomissione a un potere feudale. La banda Giuliano fece fuoco tra la folla, provocando undici morti e oltre cinquanta feriti. La Cgil proclamò lo sciopero generale e puntò il dito contro "la volontà dei latifondisti siciliani di soffocare nel sangue le organizzazioni dei lavoratori".
La strage di Portella delle Ginestre, secondo l'allora ministro dell'Interno, Mario Scelba, chiamato a rispondere davanti all'Assemblea Costituente, non fu un delitto politico. Ma nel 1949 il bandito Giuliano scrisse una lettera ai giornali e alla polizia per rivendicare lo scopo politico della sua strage. Il 14 luglio 1950 il bandito fu ucciso dal suo luogotenente, Gaspare Pisciotta, il quale a sua volta fu avvelenato in carcere il 9 febbraio del 1954 dopo aver pronunciato clamorose rivelazioni sui mandanti della strage di Portella.

Silvio Berlusconi e Álvaro Uribe: Sì ai profitti, no ai diritti umani


Di Annalisa Melandri

"Stando alla lista dei guerriglieri uccisi, le FARC le abbiamo sterminate due anni fa"
Il Presidente colombiano Álvaro Uribe Vélez incontra Berlusconi: SI AI PROFITTI, NO AI DIRITTI UMANI

Il 30 aprile 2009 il presidente della Colombia Álvaro Uribe sarà in Italia invitato ufficialmente dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
Incontrerà il premier, ministri, imprenditori e, per finire, il Papa.

Tratteranno di accordi economici e commerciali, investimenti di capitali, relazioni bancarie e finanziarie tra i due paesi, già predisposti dal recente viaggio di Letizia Moratti e di altri imprenditori italiani a Medellin in occasione del vertice della Banca Interamericana dello Sviluppo.

Ma non una parola sul rispetto dei diritti umani in Colombia, con un presidente, Uribe, a capo di un governo da molti definito “narco-fascista”. Un governo, quello colombiano, che si è macchiato e continua a macchiarsi di gravi crimini contro la popolazione colombiana come attestano numerose denunce fatte da Amnesty International, HRW , ONU, ecc.

Il bilancio del governo di Álvaro Uribe dal 2002 (anno della sua prima elezione) ad oggi è negativo sotto ogni aspetto; quello dei diritti umani, quello della sicurezza del paese, quello economico, quello della soluzione del conflitto che insanguina la Colombia da più di 50 anni.
Uribe, appoggiato da Bush, ha imposto al paese la cosiddetta “politica di sicurezza democratica” che ha reso la Colombia un enorme campo di battaglia dove, nonostante la legge di smobilitazione dei paramilitari, conosciuta come legge di Justicia y Paz, questi si sono riorganizzati sotto diverso nome e ancora controllano ampi settori della società, della politica e dell’economia.
Basti pensare che il 30% dei membri del Parlamento colombiano sono inquisiti per narcotraffico e paramilitarismo.

Oggi molti paesi europei e perfino il congresso degli Stati Uniti minacciano di sospendere gli aiuti al governo colombiano per il recente scandalo dei falsi positivi, esecuzioni extragiudiziali commesse dall’Esercito colombiano: un vero e proprio crimine di Stato, per giustificare in termini di numeri e cadaveri la lotta contro il terrorismo.

Berlusconi inviterà Uribe al prossimo G8 per dare un suo contributo al tema “Governabilità sotto la minaccia del terrorismo” nel libro “Lo stato del mondo” che dovrebbe contenere contributi di tutti i capi di Stato presenti al G8.
PROFITTI E CAPITALI VI INTERESSANO …DIRITTI UMANI NO!!!
Di fronte a questa gravissima provocazione, noi della società civile e democratica italiana comunichiamo al presidente colombiano che siamo molto attenti a quanto avviene nel suo paese in merito al rispetto dei diritti umani da parte dello Stato e leviamo un monito al governo e agli imprenditori italiani di condizionare la firma di ogni accordo commerciale con la Colombia al rispetto dei fondamentali diritti umani e civili del popolo colombiano.

(Comitato di solidarietà con il popolo Colombiano)
Costituito in occasione della Visita del Presidente Colombiano, Alvaro Uribe Velez, in Italia
Prime adesioni: Comitato Carlos Fonseca, A Sud, Comunità cristiana di base di Oregina di Genova, Narni per la Pace, Rete Italiana di Solidarietà Colombia vive! , Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea, Annalisa Melandri, Vittorio Agnoletto Europarlamentare gruppo GUE/NGL, Partito dei Comunisti Italiani
Info: annalisamelandri@yahoo.it

Comitato italiano di solidarietà con il Popolo Colombiano costituito in occasione della visita del Presidente Alvaro Uribe Vélez

( Roma, 30 aprile 2009 )

Alla Unione Euroepa e ai suoi Stato membri
Direzione Generale EUREX
Direzione generale sviluppo e cooperazione
Delegazione della Commissione Europea per Colombia y Ecuador
Al Governo colombiano
Presidente Alvaro Uribe Velez, Vicepresidente Francisco Santos, Director programma presidencial DD.HH. Carlos Franco Echevarria, Defensor Nacional del Pueblo , Wolmar Antonio Perez
Emabajada de Colombia en Italia, dr. Sabas Pretelt de la Vega
Al Governo italiano
(Presidenza del Consejo - Presidente Silvio Berlusconi, III Commissione Affari esteri e Comunitari della Camera, Commissione per i diritti Umani del Senato, Ministro degli Esteri On.Franco Frattini,
Ambasciata d’Italia in Bogotà, dr. Gerolamo Schiavoni
Agli organismi internazionali per la difesa die diritti umani
Officna in Colombia dell’Alto Commissariato ONU per la difesa dei DD.UU (OACNUDH)
Commissione Interamericana per i diritti umani(CIDH)
Al procuratore della Corte Penale Internazionale
Alla Comunità Internazionale

Roma, 27 aprile 2009

Noi, i sottoscritti firmatari, rappresentiamo Gruppi, Movimenti, Istituzioni ed Enti Locali, il cui lavoro è finalizzato alla difesa e promozione dei diritti umani e all’accompagnamento dei processi di costruzione di pace dal basso in Colombia. Sosteniamo pertanto con il nostro lavoro tutti soggetti e i processi che in Colombia cercano una soluzione al conflitto non attraverso le armi, la violenza, il sopruso, che continuano a produrre soltanto morte, povertà e ingiustizia, ma attraverso l'azione non violenta e il rifiuto degli attori armati. La nostra profonda conoscenza della grave situazione che si trova a vivere il popolo Colombiano, derivante da molteplici e diversificate esperienze sul territorio, e le ultime denunce dei difensori dei diritti umani colombiani e della stampa internazionale ci spingono a far sentire la nostra voce, in occasione della visita del Presidente Uribe a Roma.

Nei prossimi giorni, il Presidente Uribe verrà in visita ufficiale in Italia e sarà ricevuto dal Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e dal Papa Benedetto XVI. L’incontro con il premier italiano, che lo ha formalmente invitato a partecipare come ospite dell’America Latina al prossimo G8 in Italia, è stato incentrato sui temi della sicurezza, della pace e della lotta al terrorismo. Silvio Berlusconi, che ha intenzione di presentare durante il G8 il libro Lo stato del mondo, che raccoglierà gli interventi di tutti i capi di Stato presenti al vertice, ha chiesto al Presidente Uribe di scrivere un contributo sul tema “La governabilità sotto la minaccia del terrorismo”. Inoltre, importanti accordi economici e commerciali sono in via di definizione tra i due Paesi, come testimoniato dal recente viaggio a Medellin di Letizia Moratti e di altri imprenditori italiani, avvenuto in occasione del vertice della Banca Interamericana dello Sviluppo.

L‘ambito in cui avverranno questi incontri ed i temi trattati sono in netto contrasto con quanto non solo da noi ricostruito, grazie al nostro lavoro di monitoraggio, sostegno e protezione dei diritti umani, ma soprattutto con quanto denunciato da numerose istituzioni e organizzazioni colombiane ed internazionali.

Considerato:

- Che la Colombia continua ad essere immersa in un conflitto armato interno complesso e dalle molteplici sfaccettature, il cui effetto sui diritti umani rappresenta una sfida continua per la sopravvivenza della popolazione civile e per la garanzia di una vita degna;

- Che nel contesto latinoamericano la Colombia si presenta come un vero e proprio laboratorio di violazione dei diritti umani fondamentali;

- Che sono 300 mila i morti registrati negli ultimi 10 anni, metà dei quali avvenuti per mano dei paramilitari; 4000 i sindacalisti uccisi negli ultimi 20 anni, migliaia gli indigeni e i contadini sterminati nelle campagne di terrore e 4 i milioni di sfollati;

- Che durante i due mandati del Governo Uribe è stato rilevato un aggravamento del conflitto;

- Che la politica di sicurezza democratica e l’adozione di piani di militarizzazione (Plan Colombia e Plan Patriota) hanno l’obiettivo di controllare il territorio colombiano e di imporre la strategia di sviluppo forzato promosso dal Governo;

- Che dal 2005 al 2007 sono stati denunciati 11.292 casi di uccisioni e sparizioni forzate e che, nello stesso periodo, si è registrata la cifra più alta di investimenti stranieri nella storia della Colombia (si è passati dai 3.786 milioni di dollari del 2005 a 10.085 milioni del 2007), a conferma del persistente legame tra piani di sviluppo, militarizzazione e violenza;

- Che la criminalizzazione messa in atto da alti funzionari del Governo dei gruppi più vulnerabili, dei difensori dei diritti umani, delle comunità indigene, afrocolombiane e contadine e la persecuzione sistematica di ogni forma di denuncia e opposizione alle politiche promosse dallo Stato in materia sociale, lavorativa e di sicurezza, viene fatta rientrare all’interno del paradigma della lotta al terrorismo;

- Che una dei più gravi crimini avallati dal Governo colombiano nell’ambito della politica di pace e di lotta al terrorismo è quello dei “Falsos positivos”, ovvero civili innocenti uccisi dall’Esercito e presentati come guerriglieri, che di certo non rispondono all’obiettivo della lotta alla violenza né contribuiscono al ristabilimento della legalità in Colombia;

- Che la legge di Giustizia e Pace non ha virtualmente smantellato le strutture paramilitari delle AUC (Autodefensas Unidas de Colombia), favorendone di fatto la loro perpetuazione sotto altre sigle e destinandole ad un effettivo controllo sociale, politico ed economico del territorio (regioni di Antoquia, Cauca, Chocò, Cordoba, Narino e Valle del Cauca);

- Che fino ad oggi non si è debitamente indagato e processato gli autori dei crimini di lesa umanità avvenuti nel paese: delle 3.637 persone che dovevano essere indagate e processate, solo 1.626 hanno iniziato la prima fase processuale (dati al 31 dicembre 2008);

- Che si sta ostacolando il percorso normale della giustizia per chiarire i fatti riguardanti i rapporti tra paramilitari e Governo e la natura corrotta del sistema para-statale

- Che l’estradizione di 13 dei più importanti capi paramilitari smobilitati ha messo a serio rischio la possibilità di ricostruire integralmente i fatti in cui questi erano coinvolti e di riconoscere alle vittime il diritto alla verità, giustizia e riparazione;

- Che ogni negoziazione politica esige, come requisito principale, l’esistenza di posizioni divergenti e opposte, e che con la Legge Giustizia e Pace il Governo ha deciso di orientare il dialogo alle sole forze paramilitari che difendono lo stesso modello politico e sociale;

- Che senza un adeguato riconoscimento del conflitto armato interno e dei gruppi guerriglieri come forze antagoniste non si potrà giungere ad un reale accordo di pace.


Per quanto finora espresso

CHIEDIAMO

All' Unione Europea ed ai suoi Stati membri

• Di riconoscere l’esistenza di un conflitto armato in Colombia, applicando cosi tutte le normative vigenti che regolano le relazioni con i paesi in guerra;

• Di sospendere la vendita di armi e l'aiuto militare alla Colombia;

• Di monitorare ed eventualmente sospendere la vendita da parte dei Paesi della UE di agenti chimici necessari alla trasformazione della coca in cocaina, nessuno dei quali viene prodotto in Colombia ;

• Di attivare una efficace vigilanza sulle risorse destinate alla cooperazione con la Colombia, per garantire che non siano utilizzate per rafforzare l'apparato militare, per lo sfruttamento illegale ed illegittimo delle risorse naturali, in modo da non contribuire all'acutizzazione della guerra;

• Di condizionare la cooperazione e gli accordi commerciali con la Colombia al rispetto dei diritti umani;

• Di impegnarsi maggiormente nelle iniziative promosse dalla Società civile colombiana ed in modo particolare dalle Comunità in resistenza civile in favore della difesa integrale dei diritti umani.


Specificamente al Governo italiano e all'Ambasciata italiana a Bogotà

• Di appoggiare la relazione solidale che espressioni organizzate della società civile italiana hanno con le Comunità in resistenza civile e le Organizzazioni che difendono i diritti umani in Colombia;

• Di accertarsi prima dell’accredito in Italia dei futuri ambasciatori colombiani, della loro estraneità ai fatti sopra enunciati ed in caso contrario negare il placet necessario;


Ai Governi dell'Italia e della Colombia

• Di attivare meccanismi che combattano efficacemente la relazione tra le organizzazioni criminali della ‘Ndrangheta italiana e paramilitari colombiani particolarmente attive nel traffico di droga ed armi tra i due paesi. Allo stesso modo, contrastare i possibili sostegni che, da istanze ufficiali, funzionari pubblici dei due Paesi potrebbero offrire a queste pericolose organizzazioni illegali.


Al Procuratore della Corte Penale Internazionale:

• Di non rimandare oltre la sua decisione di aprire un’indagine sul caso Colombia.


Al Governo colombiano

• Di accogliere e dare seguito in maniera concreta alle raccomandazioni formulate nel Rapporto annuale dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Colombia (anno 2008) e nella sentenza del Tribunale Permanete dei Popoli su “Empresas transnacionales y derechos de los pueblos en Colombia, 2006-2008” (Bogotà, 21-23 luglio 2008);

• Di riconoscere il conflitto interno e la guerriglia come forza belligerante;

• Di attenersi ai principi del Diritto Internazionale Umanitario rispettando, senza alcuna eccezione, la vita, l’integrità della popolazione civile;

• Di implementare qualsiasi misura per porre fine alle pratiche di esecuzioni extragiudiziali e intensificare la collaborazione con la Fiscalia general de la Naciòn per investigare, giudicare e sanzionare questi crimini e di individuare le misure necessarie per porre fine alla pratica dei Falsi Positivi ed attuare in maniera pertinente perché vengano puniti i responsabili di questi crimini;

• Di astenersi dal segnalare come sostenitori del terrorismo i gruppi più vulnerabili della popolazione civile e i difensori dei diritti umani, includendo le organizzazioni sindacali e cessare immediatamente qualunque tipo di violenza e persecuzione contro di loro;

• Di adottare misure preventive concrete per porre fine al problema del desplazamiento forzado;

• Di garantire il diritto Costituzionale appartenente alle Comunità indigene ed afrodiscendenti alla proprietà collettiva dei loro territori ed inoltre ratificare la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni;

• Di impedire che le risorse naturali del Paese continuino ad essere sfruttate per il solo beneficio delle imprese multinazionali; rispettare il diritto del popolo colombiano a determinare il proprio modello economico e il proprio processo di sviluppo;

• Di garantire il diritto alla verità, giustizia e riparazione delle vittime e combattere l’impunità con tutti i mezzi legali disponibili. Riconoscere la ricostituzione di nuovi gruppi paramilitari operanti in molte regioni del Paese e assicurarli alla giustizia;

• Di accogliere con favore il lavoro svolto dalle organizzazioni sociali per i diritti umani con l’obiettivo di costruire politiche di accordo umanitario verso la soluzione negoziata al conflitto sociale e armato in Colombia.

Firmatari al 29 aprile 2009

ASUD Ecologia e Cooperazione Onlus, Comitato Carlos Fonseca, Comunità Cristiana di Base di Oregina di Genova, Associazione Narni per la Pace, Rete Italiana di Solidarietà Colombia Vive! Onlus, Comune di Narni, Fondazione Basso-Sezione Internazionale, Ecologistas en Acción-España, Gianni Novelli – Cipax, Associazione Culturale MOMOS, Associazione Dhuumcatu, Marcelo Ferreira-Profesor Titular de la Cátedra Libre de Derechos Humanos de la Universidad de Buenos Aires, Annalisa Melandri, Maria Rosaria Stabili - Roma, Giorgio Saglietti-Asti, Enza D'Agosto - Sommariva Bosco (CN), Eugenio Iona, Sergio Dalmasso-consigliere regionale PRC Piemonte, Vittorio Agnoletto Europarlamentare Gruppo GUE/NGL, Partito della Rifondazione Comunista- Sinistra Europea, PdCI,Giovani Democratici del Piemonte, Sofia Parente - Roma

Riferimenti:
reteitalianadisolidarieta@gmail.com
annalisamelandri@yahoo.it