martedì 24 marzo 2009

SBALORDITI DAVANTI A TANTA IMPUDENZA

Comunità di Pace San José de Apartadó 19 marzo 2009

Da settimane stiamo comunicando diverse testimonianze che dimostrano,giorno dopo giorno, l’aggravarsi della situazione di tensione che vive la nostra Comunità di Pace; gli avvisi di sterminio con i quali ci minacciano; gli attacchi contro il nostro processo; l'abuso e la sfacciataggine con la quale agisce la Brigata XVII, senza che nessuna istanza di controllo dello Stato ci difenda.

Al contrario, è tanto il cinismo, che sia il Governo nazionale che quello locale parlano di tutto questo come di cose passate; secondo loro "in Urabá tutto va bene; tutto è in pace". Ed hanno ragione, perché per loro la pace è la pace delle tombe; la pace del silenzio; la pace della sottomissione; la pace delle pallottole e della morte, l'unica pace che credono possibile.

Ci accusano di screditare le istituzioni e di fare terrorismo psicologico. Dolorosamente, i nostri orfani, le nostre donne violentate, la fame alla quale ci hanno costretto, le indagini giudiziarie, le montature, le morti, i saccheggi ed i furti, le incursioni violente, le minacce, l’occupazione abusiva dei nostri spazi, non sono finzione né "terrorismo psicologico" bensì fatti reali, e tutti questi assassini, propagatori del terrore e fautori di crimini, saranno giudicati dall'umanità. Sappiamo che ogni giorno che passa la condanna morale di coloro che credono nei principi essenziali della vita, sarà più forte.

Per i carnefici, tutto ciò che ci succede è "bugia"; quello che hanno sopportato le vittime sono solo "invenzioni e calunnie". Questo lo sappiamo. Chi difende la vita conosce già da un pezzo questo discorso cinico. Ogni morte, ogni violazione dei diritti, è negata ed occultata. Con tutto ciò, la storia ci ha dato sempre ragione. Abbiamo sostenuto che il paramilitarismo agisce insieme alla forza pubblica massacrando e distruggendo, e lo ho fatto già da prima del 1997 quando abbiamo creato la Comunità di Pace, però ci hanno detto e continuano a dirci che "il paramilitarismo non esiste”. Abbiamo raccolto i nostri morti e c'è stato sempre detto: “non ci sono morti, solo quelli che ammazza la guerriglia"; "viviamo in pace." Torturano e poi ci dicono: "sono pure invenzioni; qui non si tortura; rispettiamo i diritti umani”. Hanno massacrato Luís Eduardo, Alfonso Bolívar e le loro famiglie, e ci hanno detto: "non siamo stati noi". Ma noi, come vittime, assimiliamo la dimensione storica della verità e della giustizia. Sappiamo che i segni dell'orrore non possono essere cancellati dal potere arrogante che cerca di silenziare le coscienze, controllare i mezzi di informazione ed instaurare l'impero della bugia.

Per tutto questo dobbiamo testimoniare gli ultimi fatti che continuano ad evidenziare la dinamica di morte e sterminio alla quale siamo continuamente sottoposti :
• Il 1° marzo alle 2 p.m., una motocicletta con due uomini incappucciati e con armi corte è entrata ed ha girato per tutto il centro abitato di San José.
• Il 1°, 2 e 3 marzo, i paramilitari hanno messo posti di blocco all'uscita di Nuova Antioquia verso La Speranza, vestiti con abiti militari, con armi lunghe e con i braccialetti delle "Autodefensas"; hanno effettuato perquisizioni e hanno detto alla persone che era proibito trasportare alimenti per un valore di oltre 50.000 pesos.
• Il 9 e 10 marzo sono stati distribuiti ad Apartadò e a San José volantini firmati dai paramilitari con la lista delle persone che dovevano lasciare la zona altrimenti sarebbero state assassinate, e nei quali si confermava la volontà di realizzare, secondo loro, una "limpieza social “ (pulizia sociale).
• Tra i 7 e 13 marzo l'Esercito è stato presente nella frazione La Resbalosa. I soldati hanno distrutto vari raccolti; sono entrati nelle case ed hanno portato via il cibo che serviva per le famiglie; hanno minacciato l'insegnante della Comunità che lavora lì ed alcune famiglie; gli dicevano che erano "guerriglieri" e che andavano ad ucciderli.
• Il 14 marzo alle 12 p.m., nel sentiero Mulatos - Centro, truppe dell'Esercito hanno tentato di violentare Luz Tatiana Puerta. Lei si è difesa come ha potuto, gridando aiuto. Non riuscendo a violentarla, l’hanno minacciata di morte e di sottoporla a giudizio come guerrigliera. Allo stesso tempo, Isaac Torres, che stava con lei, lo hanno preso da una parte e gli mentre gli passavano il macete sulla guancia gli dicevano che gli avrebbero tolto la pelle e cavato gli occhi; gli hanno detto che era un guerrigliero e che l’avrebbero ammazzato. Isaac gli ha risposto che facessero quello che volevano. Dopo oltre mezz'ora di quella tortura psicologica, lo hanno lasciato andare insieme a Luz Tatiana, avvertendoli che se avessero raccontato quello che era successo se la sarebbero passata molto male.

Tutti questi avvenimenti dimostrano con chiarezza la azioni di morte degli agenti dello Stato. A tutto ciò si aggiungono i vari combattimenti che si sono avuti negli ultimi giorni. Sappiamo che questa azione di morte ha l’obiettivo di sterminarci, tuttavia, non cederemo davanti a tanto orrore.

Continuiamo a credere nella validità del nostro progetto di vita e la perversità dello Stato può solo rafforzarci nel nostro intento. Quotidianamente ci confermiamo nel valore della solidarietà ed i messaggi che costantemente riceviamo da coloro che, da tanti angoli del mondo, credono nella vita, ci fortificano e c'incoraggiano a proseguire nella nostra ricerca di un mondo alternativo.


Traduzione a cura della Rete Italiana di Solidarietà

lunedì 23 marzo 2009

Comunità di Pace di San Josè de Apartadò: dodici anni di costruzione della speranza



DODICI ANNI DI COSTRUZIONE DELLA SPERANZA
Questi dodici anni sono un momento di riflessione per far fiorire la speranza. Momenti tanto oscuri come quelli che viviamo ci richiedono più volontà e azione per costruire questa speranza, questa si realizza soltanto quando rendiamo possibile ciò che crediamo impossibile, solo in quel momento assume senso la speranza e assumono valore questi dodici anni.
Sappiamo che ci troviamo in un mondo sempre più avverso, in un paese come il nostro, dove si è perso il rispetto per la vita, dove l’impero della morte è quello che regna in ogni luogo, la logica del più forte, della menzogna, delle armi è ciò che regna, un paese dove ci guardiamo intorno e ci imbattiamo solo in questa logica e in questa struttura paramilitare che è semplicemente l’odore costante della morte e del sangue, che agisce a suo piacimento con tutta la legittimità che le ha concesso uno Stato che ha operato secondo questa linea di morte e di violenza.
Guardarsi intorno è quasi cadere nella disperazione, perdendo il senso e abbandonando la lotta per una vita degna ed è quasi la prima sensazione che proviamo nel nostro paese quando a trionfare e a farsi strada ovunque è questa logica di morte. Sentiamo ogni giorno la solitudine di fronte a tanta gente che si adatta, che retrocede o che opta per questa legge del più forte, di quello che vince di più. Siamo luci quasi in estinzione davanti ad una specie di nebbia che avvolge tutto e che avanza in molti cuori e in molte coscienze. Nonostante ciò, nonostante tante avversità, la speranza sta nascendo ogni giorno, ogni mattina, ogni sera, perché è necessario rinnovarla per non lasciare che si estingua questa luce di vita che nasce da questa speranza.
Questi dodici anni di resistenza civile ci impongono di rinnovare e di far fiorire ogni giorno la speranza che l’impossibile sia possibile, che la vita possa fiorire, che un mondo differente si possa costruire oggi nelle diverse parti del mondo, lì dove i cuori che amano la vita rifiutano di consegnarsi alla logica della morte ed è stato in questi dodici anni di cammino che la solitudine e il freddo della morte sono stati penetrati dal calore della vita e dall’ unità delle voci che credono in un’umanità differente.
Questi dodici anni sono stati una speranza costruita su solide basi, su progetti di vita reali e alternativi che sono stati accecati dal terrore degli assassini, ed è per questo che la memoria delle 185 persone assassinate della nostra comunità continua ad essere più viva che mai tra tutti noi che crediamo nella giustizia.
Questi dodici anni ci permettono di riaffermare la nostra posizione contraria all’impunità e di chiedere giustizia per le più di 750 violazioni dei diritti umani che sono state commesse contro il nostro processo. Siamo un chiaro esempio di annichilimento che si è perpetuati e che continua a perpetuarsi contro le comunità in resistenza civile nel nostro paese. Però, nonostante tutte queste azioni di terrore, le menzogne, le condanne, le morti, le violazioni, le distruzioni dei raccolti, le minacce, la nostra speranza resta viva perché non sono dodici anni di solitudine, ma sono dodici anni accompagnati dal calore vitale di molte persone che credono in una nuova umanità e che non ci hanno lasciati soli, ma che al contrario, camminano con noi giorno dopo giorno.
Questi dodici anni di memoria, di vita, di resistenza civile e di dignità hanno basi solide, come quelle di altre comunità nel nostro paese che costruiscono verità; sappiamo che coloro che camminano e coloro che accompagnano la vita in tutto il mondo faranno sì che un giorno esisterà la giustizia, e che saranno giudicati gli autori di tante atrocità come fonte per costruire un mondo di pace. Sono questi elementi etici e morali in favore della vita che ci danno la forza di non mollare e di unirci in questo ardore che genera una nuova umanità in diverse parti del mondo.
Alle tante persone che hanno camminato per tutti questi anni seminando questa speranza e aprendo alla morte spazi di vita per mezzo delle loro azioni solidali, tante grazie e che questo sia un momento per riaffermarci e per continuare a costruire una logica guidata dal sentimento della vita.

COMUNIDAD DE PAZ DE SAN JOSE DE APARTADO
Marzo 23 de 2009
visita nuestra pagina web.
http://www.cdpsanjose.org

martedì 17 marzo 2009

Lettera alla Rivista Cambio

Narni, 13 de marzo de 2009


Doctor
RAFAEL PARDO
Director Revista Cambio
Avenida El Dorado No. 59-70 Piso 2
Bogotá D.C. - Colombia
Teléfono: 0057-1-294 0100
Fax Redacción: 0057-1- 416 5643



Respetuoso saludo.
El pasado 4 de marzo, su revista publicò un Informe Especial titulado “ Se abre un capìtulo que involucra al periodista Hollman Morris en la Farcpolìtica”. En este artículo, y apoyada en fuentes militares, la Revista que usted dirige, afirma que el reconocido periodista Holman Morris y el asesor de la ACIN (Asociaciòn de Cabildos Indìgenas del Norte del Cauca) Emmanuel Rozental, tienen vìnculos con grupos insurgentes. Como usted bien sabe doctor Pardo, la publicación de este tipo de noticias representa, en países como Colombia, una potencial condena a muerte, por tanto lo mínimo que debe hacer el periodista que escribe y el director que autoriza la publicación, es confirmar rigurosamente la veracidad de la noticia, especialmente si esta sale de fuentes que han demostrado en repetidas ocasiones, el carácter malintencionado de las informaciones que filtra a la prensa. Los falsos positivos y los crònicos escándalos del Departamento Administrativo de Seguridad DAS, son sòlo algunos de los indicadores que deberían llevar a los periodistas de Cambio a tratar con mayor precaución y responsabilidad las informaciones provenientes de fuentes oficiales, que puedan comprometer la integridad y el buen nombre de los ciudadanos.

Tanto a Holman Morris como a Emmanuel Rozental, los hemos conocido acà en Italia, hemos escuchado sus discursos críticos sobre todos los actores del conflicto armado colombiano y los crímenes que perpetran contra la población civil. Pero además nos han ilustrado sobre la existencia en Colombia de una geografía de la esperanza, conformada por un número plural de personas y comunidades que resisten en manera noviolenta a la guerra y al desplazamieto forzado,y que construyen ejemplares proyectos alternativos de vida.

Desprestigiar y poner en el blanco de los sicarios a Morris y Rozental es atentar contra el ejercicio del periodismo independiente (Holman Morris ha recibido múltiples reconocimientos internacionales por la seriedad y la independencia de su trabajo) y contra proyectos de vida ejemplares como los realizados en el norte del Cauca por las comunidades indígenas vinculadas a la ACIN (proceso en el cual participa activamente Emmanuel Rozental).
Lo invitamos señor Pardo a que rectifique el artículo, a que verifique sus fuentes, especialmente si las noticias que le llegan provienen supuestamente del famoso computador del comandante guerrillero Raùl Reyes, abatido por las fuerzas militares colombianas en territorio ecuatoriano. Este computador se ha convertido en la caja de pandora de la cual se sacan informaciones acusatorias cada vez que el gobierno identifica personajes incómodos.

Confiamos doctor Pardo en su responsabilidad y buen juicio, sobre todo, considerando que también usted fue vìctima de declaraciones calumniosas realizadas por el Presidente Uribe y el Ministro de la Defensa Santos, cuando lo acusaron públicamente de tener vínculos con las FARC en enero de 2006.

Agradecemos su amable atención.
Atentamente


Dr. Andrea Proietti
Presidente di Colombia Vive!

Lettera al Vicepresidente della Colombia


Narni, 12 de marzo de 2009

Doctor
FRANCISCO SANTOS
Vicepresidente de Colombia
Bogotà



Respetuoso saludo.
Una vez màs nos dirigimos a usted para expresarle nuestra enorme preocupación por la continuación de las acciones de acoso y persecución contra procesos sociales dignos y ejemplares como lo son la Comunidad de Paz de San Josè de Apartadò y la Asociaciòn de Cabildos Indìgenas del Norte del Cauca.

Repetidamente la Comunidad de Paz de San Josè de Apartadò, ha denunciado las presiones sufridas por el campesino REINALDO AREIZA (miembro de la misma) por parte del Coronel GERMAN ROJAS DIAZ, Comandante del Batallòn Voltìgeros, para que colabore con la “destrucción definitiva de la Comunidad de Paz”, sopena de ser acusado de narcotraficante y guerrillero de Las Farc, a través de la utilización de testigos falsos. El pasado 7 de febrero, un teniente de apellido Delgado llegó con sus tropas al lugar de trabajo de AREIZA y después de reprocharle el haber contado a la comunidad sobre la primera llamada que le hiciera el coronel desde el celular N° 312-7206117 el dìa 17 de enero, lo comunicò nuevamente por radio con el coronel ROJAS. Despuès de repetirle que iría a la cárcel si no colabora con el Ejèrcito para acusar a los líderes de la Comunidad de Paz, le dejó este número de celular para que se siguiera reportando: 320-6920412.
Durante los meses de febrero y lo que va de marzo, se ha incrementado la persecución por parte de militares y paramilitares (provenientes estos últimos del corregimiento de Nueva Antioquia como insistentemente hemos denunciado en los últimos años) de miembros, líderes y acompañantes de la Comunidad de Paz.

El pasado 6 de marzo fue asesinado el exgobernador del Cabildo Indìgena de Corinto Lòpez, ARCADIO OCORO, quien ocupò durante varios años cargos de importancia tanto al interior de la ACIN como del CRIC. Este hecho se presenta justamente cuando en el Resguardo de Jambaló “se desarrolla la Minga de Emergencia Territorial y Humanitaria, donde las autoridades y las comunidades están desalojando laboratorios de procesamiento de coca y han incautado artefactos bélicos. Justamente en mayo y agosto de 2008, el compañero EDGAR ARCADIO OCORO con otros líderes, realizaron la misma labor en López Adentro Corinto, trabajo en el que desalojaron caletas con la comunidad y con el control de la guardia indígena”.

Preguntamos respetuosamente al señor Vicepresidente, si los métodos usados por el Coronel GERMAN ROJAS DIAZ, para obligar al campesino REINALDO AREIZA a que rinda falso testimonio contra líderes y acompañantes de la Comunidad de Paz de San Josè de Apartadò son métodos legales contemplados por la Polìtica de Seguridad Democràtica y si no es asì, entonces preguntamos a usted, por que este Coronel sigue ejerciendo impunemente estas presiones a pesar de las denuncias pùblicas que se han hecho y que han sido comunicadas a su despacho, y peor aùn, por que tanto miembros del Ejèrcito como de los paramilitares continúan su persecución implacable contra el señor AREIZA y los miembros de esta reconocida Comunidad de Paz?

Lamentamos y condenamos el asesinato del líder indígena EDGAR ARCADIO OCORO y manifestamos nuestra preocupación por el incremento de la violencia contra los pueblos indígenas por parte de todos los actores involucrados en el conflicto armado colombiano.

Agradecemos su atención.

Atentamente,


Dr. Andrea Proietti
Presidente di Colombia Vive!

Con copia a
Ministro del Interior y de Justicia, Dr. Fabio Valencia Cossio
Ministro de la Defensa, Dr. Juan Manuel Santos Calderòn
Director del Programa Presidencial de Derechos Humanos y DIH, Dr. Carlos Franco Echevarria
Fiscal General de la Naciòn, Dr. Mario Iguaràn
Procurador General de la Naciòn, Dr. Alejandro Ordóñez Maldonado
Defensor Nacional del Pueblo, Dr. Volmar Antonio Pèrez Ortiz
Director de la Policia Nacional, General Oscar Adolfo Naranjo Trujillo
Alcalde de Apartadò, Dr. Osvaldo Cuadrado
Comandante Brigada XVII, General Peña
Comadante Departamento Policia de Urabà, Coronel Murillo Meza
Defensor del Pueblo Seccional Urabà , Dr. Daniel Antonio Sastoque Coronado
Embajador, jefe de la Delegaciòn de la Comisiòn Europea para Colombia y Ecuador, Dr. Fernando Cardesa Garcia
Embajador de Colombia en Italia, Dr. Sabas Pretelt de la Vega
Embajador de Italia en Colombia, Dr. Gerolamo Schiavoni

__________________________________
Sede Legale
Comune di Narni – Ufficio per la Pace – Piazza dei Priori 1 – 05035 Narni
Tel 0039 0744 747269 anche fax
reteitalianadisolidarieta@gmail.com

Dichiarazione finale della Seconda Minga di “Pensamiento”

03-03-2009

A trent’otto anni da questa storica assemblea di Susana, realizzata in questo stesso territorio di Tacueyó, dove i nostri predecessori fondarono il Consiglio Regionale Indigeno del Cauca (CRIC), ci ritroviamo per continuare a rafforzare il suo mandato:
la piattaforma di lotta degli Indigeni del Cauca.
Noi, donne e uomini Indigeni Nasa del Nord del Cauca, uniti nella II Minga di “pensamiento”, del Cxab Wala Kiwe –Territorio del Gran Pueblo, Associazione dei Cabildos del Nord del Cauca ACIN, “Resistenza e Autonomia di fronte all’aggressione e all’occupazione integrale contro la vita e i territori”:
• abbiamo visto e analizzato la situazione politica che vive il Paese e i problemi organizzativi e politici che abbiamo;
• abbiamo constatato le minacce contro la vita e il territorio prodotte da un progetto di morte e di privazione che ci viene imposto dalle transnazionali, dal capitale e dallo Stato;
• abbiamo sentito i dolori che produce la guerra in tutte le persone;
• abbiamo confermato che la mobilitazione indigena e popolare, la difesa del nostro progetto di vita e il dialogo, sono l’unica strada che può fermare la guerra, che può nuovamente riempire di speranza il Paese e costruire una società includente, giusta e solidale.
Come risultato di questo lavoro, riprendendo le radici della nostra storia millenaria e aderendo alla saggezza dei nostri antenati concordiamo ciò che segue:

Dichiarazione Finale della Seconda Minga di Pensamiento de la Cxab Wala Kiwe

Il contesto in cui lottiamo:

1. Il governo di Alvaro Uribe Vélez per noi è illegittimo. E’ chiaro che si tratta di un governo in cui tutti mentono, in cui tutti gli alti funzionari ingannano e cercano di tradire la gente, in cui lo stesso presidente non adempie alla sua parola; un governo che una volta consegna la sovranità, un’altra la natura e il territorio alle imprese transnazionali, un governo che non ha vergogna di allearsi con gruppi di assassini, di organizzarli direttamente o di lasciarli operare affinché distruggano il movimento sociale; un governo che attenta con la sua azione e le sue leggi contro lo stato sociale di diritto e che cerca di sostituire la legge con la volontà arbitraria del presidente, un governo che per tutto il tempo sta smantellando diritti e in cambio concede elemosine; un governo così secondo noi è illegittimo. Esiste una politica integrale di aggressione e di occupazione dei nostri territori che combina una strategia di implementazione delle leggi di privazione che cerca di concedere la nostra vita agli interessi delle transnazionali; un’altra strategia è basata sul terrore, sulla militarizzazione dei nostri territori e della vita, sull’assassinio e sul coinvolgimento della comunità nella guerra; una terza strategia, non meno nociva, che induce alla cooptazione di comunità e organizzazioni mediante programmi come famiglie in azione, famiglie guardaboschi e altri simili.

2. E’ necessario un altro governo nazionale. Che si opponga con chiarezza e senza doppiezza ai trattati di libero Commercio con Stati Uniti e Unione Europea, e che , in cambio, promuova trattati di interscambio e reciprocità tra i Popoli. Che veramente difenda la sovranità dei Popoli che abitano il Paese. Che non distrugga la Madre Terrra e la Vita in nome dello sviluppo. Che sia decente. Che non menta. Che non rubi. Che non si pieghi di fronte alle grandi imprese e alla potenza dei governi. Da parte nostra, ordiniamo ai nostri consiglieri e autorità, ai comuneros, ai tejidos con cui lavoriamo, che solo appoggino proposte che rispettino questi principi minimi; un governo che favorisca e difenda un progetto di vita e di dignità.

3. Noi Popoli Indigeni della Colombia e in particolare del Cauca abbiamo progredito negli ultimi 40 anni nel precisare il nostro progetto politico che possiamo sintetizzare in:
a- la necessità di trasformare il sistema politico affinché ci sia giustizia, democrazia, governo e vita in armonia con la natura;
b- la necessità che in questo nuovo sistema politico si rispetti davvero e profondamente il diritto dei popoli indigeni a governare sé stessi, a governare i territori e le risorse naturali, insieme al nostro impegno e con la convinzione che la Madre Terra non è proprietà di nessuno (e ancor meno delle transnazionali) ma che deve essere protetta e liberata affinché nutra e si prenda cura di tutti gli esseri viventi;
c- la necessità che le relazioni tra i popoli siano basate sulla comprensione, il rispetto e la solidarietà. Detto in altre parole cerchiamo un sistema politico veramente democratico (e non l’abbiamo), un sistema economico alternativo che non distrugga la natura e l’ambiente, una società in armonia;

4. Tutto il passato necessita e presuppone la costruzione della pace. Bisogna che la guerra finisca. In merito all’urgente consolidamento della pace, siamo giunti ad una semplice conclusione che consideriamo però vera: “non ci sarà pace per i colombiani se non c’è pace per gli indigeni, non ci sarà pace per gli indigeni se non c’è pace per tutti i colombiani”; lo abbiamo detto nel Congresso dei Popoli del Cota e lo ripetiamo anche qui. Non vogliamo semplicemente essere esclusi dalla guerra e dalle sue atrocità, mentre questa continua a distruggere il Paese e gli altri popoli. Non Vogliamo metterci in un guscio mentre la gente continua ad uccidersi. Vogliamo Che la guerra finisca! Perché con il pretesto della guerra contro il terrorismo il governo oggi ci invade, ci segnala, ci calunnia e mantiene una permanente occupazione con battaglioni di alta montagna; il pretesto è dare sicurezza però l’unica cosa che abbiamo ricevuto è aggressione, attacchi, paura e una maggiore insicurezza. Le forze armate accompagnano l’entrata delle transnazionali nei nostri territori e pretendono con l’aggressività dei fucili che accettiamo lo sfruttamento delle risorse naturali. L’esercito nazionale è una forza di occupazione che riempie di mine i nostri orti, che ci proibisce di recarci nella nostra casa, che contamina i nostri luoghi sacri, che ci utilizza come scudi nella sua guerra. La sicurezza democratica del governo è terrore, minaccia,distruzione; è sicurezza per i ricchi e paura per noialtri, semplicemente è una politica antidemocratica. Con il pretesto della sua guerra contro lo Stato la guerriglia attacca le comunità e cerca di soppiantare la nostra autorità. Mentre noi costruiamo un governo municipale popolare che dia autorità ai cabildos e all’assemblea dei comuneros, la guerriglia si prende i municipi, distrugge le nostre case e offre pretesti affinché la forza pubblica invada le nostre comunità; noi, con l’autorità dei nostri bastoni smantelliamo le trincee della polizia del centro di Caldono, Toribío y Jambalò, affinché la sua presenza non colpisca la popolazione civile mentre la guerriglia semina mine anti-uomo e non ha nessuna considerazione della gente che non fa parte della guerra; mentre noi, senza nessun timore, diamo un giudizio politico ai militari che hanno assassinato persone della comunità indigena, loro invece sequestrano membri delle nostre comunità per giustiziarli per presunti delitti come se non avessimo dato prova di avere migliori capacità di applicare la giustizia comunitaria come nessun altra istituzione ha fatto. E’ come se fossero contro il potere popolare del governo diretto dei comuneros indigeni; sembrerebbe che vogliano prendere il potere che noi dei settori popolari e indigeni abbiamo costruito con molta fatica e avessero rinunciato a prendersi il potere che hanno i ricchi.

5. Per questo ratifichiamo ciò che abbiamo detto nella Dichiarazione di Jambaló: “Daremo tutto il nostro appoggio per un processo di pace che si realizzi nel territorio nazionale sempre che sia una pace dialogata, concertata con la popolazione civile e con soluzioni pratiche ai problemi a corto, medio e lungo termine. Non accettiamo l’intervento di alcun attore armato o esterno nella nostra vita, nel nostro esercizio di governo proprio e di libera determinazione o nell’applicazione della giustizia, esigiamo dagli uni e dagli altri che rispettino il diritto internazionale umanitario e i diritti umani, che non ci coinvolgano in attività militari, che non ci attacchino a “tradimento”. In virtù di tale mandato e aderendo al principio indigeno della parola, convochiamo da questo Congresso, che è la massima autorità, le FARC per un dibattito pubblico e franco sopra il loro operato e sulla loro politica nei nostri territori. Vogliamo che ci spieghino i loro presunti propositi di trasformazione sociale; che ci dicano perché minacciano i nostri governi e la nostra gente, che ci mostrino come, assassinando e massacrando gli indigeni disarmati, si può costruire un nuovo Paese. Soprattutto vogliamo che si impegnino a rispettare il diritto alla libera determinazione che persino le Nazioni Unite hanno dovuto riconoscere. Convochiamo tutti gli organismi di diritti umani nazionali e internazionali come testimoni oculari e garanti di questo dibattito e sollecitiamo il governo nazionale affinché rispetti il nostro esercizio di autodeterminazione e di pace.

6. Anche le coltivazioni di coca si sono convertite in un pretesto d’intervento di tutti gli attori armati, legali e illegali. Si sono trasformate in una strategia di ampliamento territoriale e di sostituzione dell’autorità indigena da parte delle FARC che, approfittando della situazione economica di alcune famiglie che hanno colture, pretende imporre loro imposte, applicar loro presunte norme e cooptarle. Le coltivazioni si utilizzano ugualmente come pretesto per l’intervento da parte dello Stato che ha inadempiuto totalmente agli impegni di sradicamento volontario, disconosce le nostre proposte di sostituzione delle colture e al contrario privilegia la guerra chimica, i meccanismi militari e il coinvolgimento delle comunità nella strategia di guerra. Come abbiamo detto nella risoluzione di Jambalò, ci sono alcuni membri della comunità che coltivano coca per attenuare la fame e la miseria che sono conseguenza delle politiche di governo e di fronte all’inadempimento degli accordi pattuiti riguardo allo sradicamento di coltivazioni di uso illecito. Per questo manteniamo la nostra proposta di sostituzione delle coltivazioni. Ma nessun attore sociale o armato di destra o di sinistra può intervenire per risolvere questo problema. Solo le nostre autorità tradizionali sono deputate a mettere in armonia le famiglie che si trovano in questa situazione; soltanto la nostra organizzazione e i cabildos hanno la facoltà di cercare alternative con le persone coinvolte.

7. E’ chiaro che il progetto economico di morte delle transnazionali e dello Stato, la guerra, il narcotraffico, lo smantellamento dello stato di diritto, le sistematiche operazioni del governo contro i Popoli Indigeni, vogliono soprattutto distruggere le nostre forme di governo e la nostra relazione spirituale e di rispetto del territorio, che si sono trasformate in ostacoli alle sue intenzioni. Il suo progetto è contro il nostro piano di vita, contro la Madre Natura, contro il nostro territorio e il nostro governo

Consolidamento del nostro territorio autonomo indigeno Cxab Wala Kiwe

8. Il II Congresso ratifica che il nostro orizzonte è il consolidamento del territorio autonomo indigeno del Nord del Cauca. Non “stiamo aspettando” che il Congresso della repubblica legiferi per concedere la legge organica di ordinamento territoriale e regolamenti la Costituzione delle entità territoriali indigene: perché non gli interessa e perché se lo facesse sapiamo che sarebbe una legislazione prodotta al fine di espropriarci i diritti territoriali. La costituzione politica stabilisce che i territori indigeni sono entità territoriali della repubblica. Non abbiamo bisogno di una legge che lo riconosca perché sono già una realtà giuridica e materiale. La convenzione 169 della OIT e la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei Popoli Indigeni obbligano ugualmente lo Stato a riconoscere i nostri territori. Il II Congresso ordina che si metta in atto immediatamente la nostra funzione legislativa territoriale per dare un quadro giuridico al territorio autonomo indigeno del Nord del Cauca a partire dalla legge de la Origen e delle altre leggi che riconoscono i nostri diritti. Abbiamo deciso che si costituisca una Commissione speciale con delegati dei cabildos, dei tejidos e del consiglio affinché deliberi una Minga de Pensamiento sulle leggi che devono regolare il territorio; all’interno di un processo partecipativo di consultazione con tutte le comunità, le autorità e gli anziani, questa commissione dovrà raccogliere ciò che è stato fatto in questi 38 anni di lotta ed elaborare una proposta di ordinamento giuridico del nostro territorio per presentarla al cospetto della massima autorità del nostro popolo.

9. II Congresso ratifica le politiche di consolidamento territoriale che abbiamo approvato nel I Congresso. Di conseguenza manteniamo la nostra esigenza di restituzione dei territori ancestrali che appaiono nel titolo dei Cinque Popoli di Juan Tama, esigiamo dallo stato il compimento degli obblighi di riparazione che gli ha imposto la Corte Interamericana dei Diritti Umani per il massacro del Nilo commesso con la partecipazione e la complicità di agenti dello stato. Siamo quasi convinti che lo stato non lo compirà. Per questo manteniamo il nostro rituale di liberazione della Madre Terra. Libereremo pacificamente la Madre affinché possa respirare libera, le toglieremo i lacci che la soffocano.

10. Reiteriamo la nostra opposizione di fronte a questo modello di morte e di privazione territoriale che abbiamo segnalato. Il nostro diritto e la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti Umani dei Popoli Indigeni riconoscono il diritto alla proprietà e al governo sui nostri territori, sulle terre e sulle risorse e lo faremo rispettare. Le Nazioni Unite hanno accolto che noi popoli indigeni abbiamo diritto alla libera determinazione che nell’esercizio di tale diritto stabiliamo liberamente la nostra condizione politica e liberamente costruiamo il nostro sviluppo economico, sociale e culturale; che abbiamo diritto a conservare e a rafforzare le nostre istituzioni politiche, giuridiche, economiche, sociali e culturali; che abbiamo inoltre diritto a possedere, a utilizzare e a sviluppare e controllare le terre, i territori e le risorse che sono nostre per tradizione e che occupiamo o utilizziamo in altra forma; che abbiamo il diritto a sfruttare questo mezzo di sussistenza e di sviluppo e a dedicarci liberamente a tutte le attività economiche tradizionali e alternative. Non chiediamo al governo né in generale alle Istituzioni dello Stato che approvino o ratifichino la Dichiarazione approvata nell’assemblea delle Nazioni Unite da quasi la totalità dei Paesi del mondo. Gli chiediamo che la rispetti, che obbedisca e che la compia. Il governo non può dire che la Dichiarazione è contro la Costituzione; se fosse così, ciò che deve fare è modificare la Costituzione per non restare fuori dal sistema internazionale.

11. Aderenti alla Dichiarazione e al nostro diritto ancestrale, abbiamo immediatamente approvato la risoluzione ambientale nella quale stabiliamo che qualsiasi impresa nazionale o transnazionale, istituzione pubblica, associazione o collettivo, funzionario o persona vincolata o che dia vita ad opere e attività di sfruttamento di risorse naturali, opere di infrastrutture, ricerche associate, processi di negoziazione, consultazione o concertazione nell’ambito territoriale di Cxab Wala Kiwe, dovrà aderire pienamente alle direttive delle autorità tradizionali e del governo proprio, rispettare i piani di vita e i principi del popolo Nasa sulla natura e sulle forme di vita e riconoscere la territorialità del popolo Nasa e tenere in considerazione il consenso -libero, previo e informato in un processo di consultazione-. Lo diciamo ben chiaro: all’impresa che entri senza permesso e senza rispetto nei nostri territori, gli si applicherà la giustizia indigena. Ugualmente i governi locali e regionali inclusi i governi municipali e dipartimentali devono aderire pienamente ai principi e alle politiche dei piani di vita. Noi l’abbiamo proposto e abbiamo scelto per questo . Le decisioni sulle politiche pubbliche approvate dalle comunità e che colpiscono le risorse naturali, come acqua, minerali , parchi sono da compiere.

La previsione (ri-proiezione) dei Piani di Vita

12. I Piani di vita sono la nostra guida per recuperare il nostro cammino; l’abbiamo chiamato “il sogno che si sta facendo realtà” . Il II Congresso ha ricordato i principi culturali e spirituali del pensiero Nasa e ha ratificato il proposito di costituire nostri propri sistemi o modelli di giustizia, salute, educazione, economia. Ci siamo fatti una profonda autocritica perchè in virtù di riuscire nel progresso pratico di queste materie, in varie occasioni abbiamo perduto l’obiettivo di creare e rafforzare le nostre proprie istituzioni; per questo abbiamo preso varie decisioni per impedire che i nostri obiettivi strategici siano accaparrati dai modelli statali e imprenditoriali capitalisti. Per rendere operativi i mandati pianificati. Il mandato ai responsabili del piano di vita in tutti i livelli è che tutte le azioni devono essere guidate da principi propri di rispetto della Madre Terra, consolidamento dell’autonomia, rafforzamento dell’identità culturale, integralità, reciprocità, interculturalità, solidarietà tra i comuneros e le comunità, partecipazione, rispetto, consultazione delle comunità, non più politiche esterne. Non vogliamo essere dei mandatari dello stato né delle imprese, né delle chiese, né della guerriglia.

13. Per la re proyección dei piani di vita, la consejeria deve assumere in forma collettiva e prioritaria varie funzioni: in primo luogo la pianificazione territoriale integrale partecipativa, si deve fare in modo più consistente, permanente con dedizione; in secondo luogo il gemellaggio indigeno e il collegamento con altri settori sociali (relazioni esterne) sono compiti politici fondamentali della consejeria nel suo insieme, perché per la sua importanza nella proiezione della minga indigena popolare deve avere maggior attenzione; in terzo luogo la consejeria si deve assumere sistematicamente il compito di seguire le espressioni politiche elettorali che appoggiamo esercitando un controllo politico, programmando la rendicontazione, valutando che i rappresentanti in corporazioni pubbliche seguano gli orientamenti dei mandati e dei piani di vita. La consejeria ha il ruolo di orientare al livello politico i tessuti. Non può lasciare soli i gruppi di lavoro.

14. I mandati del I Congresso sono vigenti e devono essere mantenuti per il prossimo periodo. Però, al fine di approfondire la loro realizzazione ed esecuzione perché ha grandi debolezze, abbiamo ordinato che si stabiliscano i meccanismi e i procedimenti per organizzare il lavoro delle autorità . I consiglieri, i tejidos e i comuneros, questi hanno il compito di presentare all’assemblea dei governatori un piano di lavoro coordinato con le autorità tradizionali.

15. Le autorità tradizionali in virtù dell’unità e della coerenza devono orientare e assumere con impegno serio le decisioni comunitarie in modo che ciò permetta di rafforzare la governabilità nel territorio del Cxab Wala Kiwe.

La minga indigena e popolare

16. La minga indigena e popolare è il nostro rapporto alla mobilitazione popolare colombiana, è nostra figlia, però già non ci appartiene; cammina da sola però noi ne siamo anche responsabili per ciò che farà. Ora è di tutti i colombiani e colombiane che condividono la sua proposta. Nel quadro delle mobilitazioni di ottobre e novembre 2008, la minga ha delineato il suo contenuto in modo chiaro:
A il rifiuto del libero commercio e la difesa della sovranità;
B il rifiuto del terrore, della guerra e della violazione dei diritti umani espresso nel Plan
Colombia e la politica di sicurezza urbanista, la rivendicazione del diritto alla verità, la
giustizia e la riparazione;
C la deroga di tutta la legislazione di privazione espressa nella politica di privatizzazione e di
invasione del territorio e di espropriazione delle risorse naturali;
D il compimento degli obblighi dello stato al livello nazionale e internazionale –in particolare
la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei Popoli Indigeni- il compimento degli
impegni e degli accordi con organizzazioni sociali, il compimento della parola;
E la creazione di meccanismi di sovranità, di pace e di convivenza. Questo principio di
agenda popolare alternativa è condivisa sempre più dalle organizzazioni sociali e popolari.
Siamo contenti del fatto che questa proposta vada aderendo poco a poco e che vada
alimentandosi con l’apporto di altre organizzazioni e altri pensieri. Questo ci obbliga a
avere molta più responsabilità con la sua proiezione.

17. La minga indigena e popolare è la nostra ri-unione con altri settori sociali con i quali abbiamo condiviso il proposito di rafforzare i processi di resistenza. Abbiamo “caminado la palabra” per costruire una coscienza con loro e anche nelle comunità indigene e in altri villaggi dove abbiamo rafforzato con la minga le nostre azioni collettive, il nostro pensiero di reciprocità, la nostra formazione politica. La minga è il nostro modo di lavorare, di vivere, di pensare, di studiare, di ricercare, di trasformare, di stare e sognare tutti insieme, uomini e donne.

18. Nel II Congresso dell’ACIN abbiamo ratificato il nostro impegno con la Minga Indigena e Popolare. Ci siamo convocati insieme agli altri settori e organizzazioni sociali che fanno parte di questa, al Congresso dei Popoli e alle Giornate di Azione e Mobilitazione Popolare che dovranno realizzarsi nel mese di ottobre di quest’anno.

19. Con tale dichiarazione e con i mandati per i tejidos dell’ACIN continuano a rafforzare i principi della nostra organizzazione: Unità, Territorio, Cultura e Autonomia. Che lo Spirito della Nostra Madre Terra ci guidi lungo il cammino per continuare a resistere.


Tacueyó, 27 Febbraio 2009
a 38 anni dalla nascita del nostro Consiglio Regionale Indigeno del Cauca CRIC


autore: Segunda Minga de Pensamiento
traduzione: Maria Alessandra Putzu Colombia Vive (sezione Firenze, Rete Italiana di Solidarietà Colombia Vive!)

martedì 10 marzo 2009

Alvaro Uribe e i testimoni scomodi

Simone Bruno
[6 Febbraio 2009]

La liberazione di sei ostaggi decisa pochi giorni fa dalle Farc diventa l'occasione, per il presidente colombiano, per scagliarsi contro la stampa non allineata alle posizioni del suo governo e colpevole di dire che in Colombia è in corso una guerra.

Negli ultimi giorni l’attenzione dei colombiani non è stata catturata solo dalla liberazione dei sei sequestrati che le Fuerzas armadas revolucionarias de Colombia [Farco] hanno deciso di rilasciare in maniera unilaterale. Il paese ha potuto scoprire anche che esistono giornalisti presidenzialmente corretti, alcuni che fanno «feste terroriste» con la guerriglia e che se tutti gli altri operatori dell’informazione vengono schedati dall’esercito non è poi così grave.
Le rivelazioni sono state rese note martedì scorso da un iracondo presidente Alvar Uribe de Velez sull’ uscio della casa di Alan Jara, ex governatore della regione del Meta, rilasciato quello stesso giorno dalle Farc.
Lo scontro con la stampa è cominciato durante la liberazione dei primi quattro sequestrati la scorsa domenica. In quell’occasione, tra i membri della commissione umanitaria c’era Jorge Enrique Botero, noto giornalista colombiano, colui che con un libro sui sequestrati parlò per primo delle condizioni disumane in cui erano tenuti i prigionieri delle Farc e che per primo rivelò l’esistenza del piccolo Emmanuel, nato durante il sequestro di sua madre Clara Rojas.
Botero fa parte di «Colombianas y colombianos por la paz» un’organizzazione di attivisti, intellettuali, giornalisti e gente comune che ora conta circa 130 mila persone e che ha ottenuto questa liberazione unilaterale dalle Farc dopo uno scambio epistolare lungo sei mesi.
Davvero una buona notizia per il paese, un primo passo verso il risveglio di una società civile assopita nelle città e che ignora la violenza che sconvolge la vita dei propri connazionali nelle zone rurali dove si concentra il conflitto.
Botero, in un collegamento in diretta con Telesur, la catena televisiva, con aspirazioni continentali e sede a Caracas aveva denunciato la presenza di aerei militari colombiani che sorvolavano la zona del rilascio, nonostante l’impegno del governo a sospendere ogni operazione militare per facilitare questa serie di operazioni umanitarie.
Secondo il governo, l’errore di Botero era quello di aver svolto il ruolo da giornalista, quando in quel momento sarebbe dovuto essere solo un garante, per di più aveva intervistato in diretta il comandante guerrigliero incaricato di scortare gli ostaggi fino agli elicotteri messi a disposizione dal governo brasiliano.
La reazione del governo per bocca di Juan Manuel Santos, ministro della difesa con aspirazioni presidenziali, è stata immediata e furente: «Il signor Botero si presta al gioco pubblicitario del terrorismo», è stato solo uno dei commenti piovuti domenica scorsa. Gli aerei erano certo lì, ma oltre i 20 mila metri che, secondo il governo, erano stati pattuiti e in ogni casi sono stati allontanati appena la Corce Rossa internazionale lo ha richiesto.
Lo stesso giorno, Hollman Morris, il giornalista colombiano più conosciuto e premiato all’estero [premio defender di Human rights watch, premio Canadian journalist for free expression, vari riconoscimenti di Reporter senza frontiere, premio Nuevo Periodismo 2007 e l’italianissimo premio Ciriello tra gli altri] era sul luogo del rilascio dei sequestrati per conto di Radio Francia International [Rfi], dopo aver passato vari giorni nella selva colombiana alla ricerca di un’intervista con un alto esponente della guerriglia.
Durante il ritorno verso la città di Florencia, Hollamn e il suo cameraman sono stati fermati dall’esercito con l’intento di sequestrare il materiale giornalistico. In seguito membri della Dijin, la polizia giudiziaria colombiana hanno schedato e fotografato i giornalisti per ragioni sconosciute e solo dopo molte ore e l’intervento di diverse organizzazioni per la difesa dei diritti umani sono stati rilasciati.
Il mattino seguente l’ira del governo si è abbattuta anche su Hollman, accusato di due cose. La prima di aver estorto interviste ai sequestrati minacciati dai guerriglieri e indotti a rispondere secondo i loro ordini, la seconda di essere scappato alla scorta incaricata di proteggerlo. La Corte interamericana dei diritti umani obbliga infatti lo stato colombiano a proteggere Hollman sin da quando ha subito gravi minacce di morte nel 2006 a seguito di una segnalazione del presidente Uribe. Anche in quell’occasione il presidente lo accusò di aver legami con la guerriglia, a causa di un lavoro svolto durante un attacco guerrigliero insieme alla Bbc di Londra. Poco dopo il presidente fu costretto a chiedere scusa pubblicamente.
Il governo fa finta di ignorare una sentenza della Corte costituzionale colombiana del 2008 che riconosce che se la persona sotto protezione è un giornalista, che vuole comunque continuare le sue indagini, allora la protezione non può intaccare la sua libertà di espressione e richiede quindi di accorgimenti particolari: «In particolare è ovvio che i comunicatori posso avere necessità di una certa riservatezza per poter intervistare fonti riservate o per poter fare alcune indagini», hanno scritto i giudici.
Hollman stesso ci ha raccontato il suo punto di vista sulle interviste pilotate dei sequestrati: «Le interviste pilotate ovviamente mi preoccupano, ma il giornalista ha sempre la possibilità di decidere cosa rendere pubblico e cosa no. È qui che a mio modo di vedere il giornalista si blinda. Uno decide cosa dire, cosa pubblicare, cosa rendere visibile e quali immagini far vedere. Io sono molto sorpreso, fino ad oggi non ho pubblicato una sola immagine del mio materiale e mi trovo nell’occhio del ciclone. Ho fatto due reportage dal posto per Rfi, dopo aver parlato con i sequestrati e in nessun momento ho utilizzato le loro interviste. Perché? Per la semplice ragione che non mi sembrava il caso. Quei ragazzi erano nelle mani della guerriglia e quindi quel materiale ha perso per me qualunque interesse, non ha nessun valore giornalistico, è per questo che non ho mai usato quelle interviste e non lo utilizzerò mai».
Hollman, che da quindici anni racconta la storia del conflitto colombiano, dando voce alle vittime che i grandi mezzi di comunicazione troppo spesso dimenticano è un testimone scomodo, come il titolo del film sulla sua storia che sta facendo il giro di vari festival europei. Qualcuno che racconta l’altra faccia del conflitto, quella violenta, quella delle vittime, quell’anima nera della guerra che il presidente nega quando nega l’esistenza stessa del conflitto, riducendo la guerriglia a semplici terroristi e ipotizzando che dopo averli sterminati il paese sarà in pratica la Svizzera andina. Il presidente fa finta di ignorare i problemi sociali, le ragioni per cui ancora oggi migliaia di ragazzini senza futuro non vedono nulla migliore nella vita che ir al monte.
«Se questo paese non si rende conto che esiste un conflitto armato – continua Hollman – un conflitto armato che è barbaro, non potremo mai parlare di pace. C’è gente a Bogotá, a Medellin che dice che in questo paese non c’è una guerra. Se non c’è la guerra è perché non la stiamo mostrando. E i pochi che la mostriamo siamo accusati di essere alleati della guerriglia. Cos’è che da profondamente fastidio al ministro Santos e che preoccupa profondamente certi settori del paese? Che in questo paese esistano giornalisti, o senatori, o leader d’opinione che parlano di pace. Per parlare di pace bisogna innanzi tutto riconoscere l’esistenza di un conflitto armato in questo paese. Il governo vuole dirci cosa possiamo e cosa non possiamo far vedere.»
Il prologo è proprio durante la conferenza stampa appena fuori la casa di Alan Jara che ha preferito lasciare il presidente solo davanti alle telecamere. Uribe ha colto l’occasione per scagliarsi di nuovo contro Hollman Morris: «Una cosa sono i giornalisti e un’altra cosa i giornalisti amici dei terroristi […] Il signor Morris era lì per fare una festa terrorista» ha dichiarato livido in volto e con l’indice proteso al cielo. Il presidente Colombiano ha poi continuato dicendo che a lui «sta molto a cuore la libertà di stampa», per poi subito dopo evadere la domanda di un giornalista di Telesur, preferendo commentare che la catena internazionale deve stare attenta a non trasformarsi in Telefarc. Poco dopo un giornalista di CityTv, il canale di Bogotà, ha gridato la sua rabbia al presidente per i maltrattamenti che le forze dell’ordine avevano riservato alla stampa per tutto il giorno e per il fatto che gli stessi militari li riprendessero e fotografassero. «Queridos amigos – ha risposto il presidente calmando le acque – che problemi ci sono se vi riprendono, guardate quante camere avete voi!».
Calmandosi ha quindi affermato che ora i giornalisti in colombia si sentono più sicuri, riferendosi probabilmente a quelli che usano in maniera presidenzialmente corretta la loro etica professionale, come ad esempio Álvaro García, ex direttore del seguitissimo canale televisivo Rcn, il più vicino alle posizioni presidenziali.
García ha visto premiata la sua impeccabile etica con una fresca nomina ad ambasciatore in Argentina. Holmman invece al momento della nostra intervista aveva già ricevuto una decina di email di minaccia e d’insulti.

mercoledì 4 marzo 2009

Nuova denuncia della Comunitá di Pace di San José de Apartadó

PERSECUZIONE E STERMINIO: PIANO ‘DECANTATO’ DEL GOVERNO CONTRO DI NOI

Abbiamo avuto la certezza dei molteplici attacchi ed attentati contro la nostra Comunità di Pace, che negli ultimi mesi si sono convertiti in una certa ossessione al fine di sterminarci definitivamente, se si prendono in considerazione i numerosi messaggi che le pattuglie militari e paramilitari che percorrono la zona ci inviano costantemente e gli sforzi che si fanno nella Brigata XVII per ricattare gli abitanti e gli stessi membri della nostra Comunità affinché collaborino per la nostra distruzione e si guadagnino cospicue ricompense monetarie.

Nel nostro precedente comunicato abbiamo denunciato il fustiga mento di cui è stato vittima il nostro compagno REINALDO AREIZA, che è stato membro del nostro Consiglio Interno negli anni passati, attualmente molestato insistentemente dal Colonnello GERMÁN ROJAS DÍAZ , Comandante del Battaglione Voltígeros, che gli ha annunciato che qualora non collabori in questa distruzione definitiva della Comunità di Pace, sarà giudicato come “finanziatore dle Fronte 58 delle FARC” e come “trafficante di droga”, grazie ai suoi “testimoni”, come ha fatto da più decenni la Brigata, remunerando delinquenti per soddisfare i loro obiettivi criminali. Da quando Reinaldo e la Comunità hanno posto questo ricatto a conoscenza di molteplici autorità e della comunità internazionale, membri dell’Esercito e paramilitari cercano Reinaldo disperatamente nella zona e gli hanno manifestato la loro rabbia per aver denunciato il ricatto. Non si tratta di nuove tattiche né di tattiche isolate dell’Esercito: in questi stessi giorni, due militari installati nella zona rurale di Dabeina stanno molestando una giovane contadina, ricattandola che se non ci sta con loro sarà giudicata come “guerrigliera” o “miliziana”. Anche nel 2003 hanno molestato allo stesso modo un giovane un altro giovane della nostra Comunità, dicendogli che se non avesse dichiarato al Pubblico Ministero (Fiscalía) che tutti i leader della Comunità di Pace erano guerriglieri, lo avrebbero giudicato come un “miliziano”, e gli hanno mostrato una “lista” da loro stessi elaborata assicurandogli che avevano già dei “testimoni” per accusarlo. Abbiamo denunciato numerosi casi simili senza che le autorità abbiano fatto qualcosa per sanzionare coloro che agiscono in questo modo. Per quanto ne sappiamo, il Colonello Rojas continua ad avere il suo posto, e inoltre, si sa che sta preparando un piano contro la Comunità di Pace, profittando della smobilitazione di alias “Samir”, comandante di una compagnia delle FARC, al quale è stato detenuto illegalmente per più di tre mesi dalla Brigata “negoziando” dei benefici giuridici in cambio dei “contributi” al fine di distruggere la Comunità di Pace.
 Matedì 17 febbraio 2009, verso le 3 del pomeriggio, quattro paramilitari si sono presentati come “Aquile Nere” dicendo che venivano dal Nuevo Antioquia, vestiti in borghese e con armi corte, sono rimasti nel quartiere di Naín, nella casa di due famiglie della nostra Comunità di Pace. In quelle case hanno chiesto informazioni sui luoghi della comunità e su come si spostavano i leader. Hanno affermato che avevano bisogno di sterminare la comunità in qualunque modo e hanno imposto a queste famiglie di ritirarsi dalla comunità. Di fronte al silenzio delle famiglie si sono dimostrati furiosi e si sono allontanati confermando che devono chiudere con la nostra comunità a tutti i costi.
 Domenica 22 febbraio 2009, nel quartiere di Mulatos – Cabecera, verso le 7 del pomeriggio degli uomini armati hanno chiesto informazioni su un compagno della nostra Comunità di Pace, insistendo sul fatto che dicessimo loro dove si trovava, come si spostava e quali erano i suoi spostamenti in questi giorni. Lunedì 23 febbraio, nella zona conosciuta come Chontalito, numerosi uomini armati si sono imbattuti nei diversi gruppi di persone che uscivano dalla cerimonia dell’anniversario del massacro del 21 febbraio del 2005 nel quartiere di Mulatos e del La Resbalosa, facendo le stesse domande sul compagno della nostra Comunità. Molto vicino alla zone in cui si sono mobilitati questi uomini armati, c’erano delle pattuglie dell’Esercito.
 Lunedì 23 febbraio 2009, nel quartiere di la Resbalosa è stato detenuto nella propria casa, durante un’ora, un membro della nostra Comunità di Pace e membro integrante del nostro Consiglio Interno. I militari sostenevano che fosse un guerrigliero, come lo erano i membri di questa comunità di pace, la quale doveva essere sterminata. I membri dell’Esercito che occupavano la sua proprietà gli hanno danneggiato le sue piantagioni di canna e di fagioli.
 Martedì 24 febbraio 2009, verso le 10 del mattino, nel quartiere di las Nieves è stato detenuto illegalmente ed arbitrariamente da parte dell’Esercito un membro della nostra comunità che si dirigeva dal quartiere di la Esperanza verso quello di La Unión. L’Esercito gli ha chiesto di Reinaldo Areiza, al quale lui ha risposto che non sapeva dove stava. Costoro gli hanno detto che Reinaldo si era conquistato la morte e che gli sarebbe successo quanto era successo ad Arturo David, dopo che aveva “aperto la bocca” dopo che gli avevano dato la possibilità di vivere ben. Il membro della nostra Comunità ha risposto loro che si trattava di casi distinti, per cui Arturo David, che aveva partecipato alla nostra Comunità e si era ritirato, era morto in un combattimento, mentre Reinaldo era un contadino che non aveva niente a che vedere con i gruppi armati. I militari gli contestarono che nella zona tutti i contadini sono guerriglieri e che cosi Reinaldo era contadino, per cui si era guadagnato la morte in questo modo. Successivamente lo hanno lasciato proseguire per il suo cammino.

Di nuovo sollecitiamo a coloro che sono sempre stati solidali con la nostra Comunità di Pace di esigere dal Governo colombiano che cessino tali crudeli persecuzioni e che si rinuncia l piano criminale di sterminio.
Da parte nostra,c continueremo fermi con il nostro principio e convinti del fatto che non debba imperare la strategia del terrore che l’attuale Governo ha imposto. Ci anima sapere che i sostenitori della Vita e della Dignità ci accompagnano nella nostra lotta e stanno al nostro lato per affrontare piano talmente criminali.

COMUNITA’ DI PACE DI SAN JOSÉ DE APARTADÓ

3 Marzo 2009